LA LETTERA «contro» GIANNI LANNES i) CONCLUSIONE PRIMA Ma la ritorsione più grave e più pesante è quella che vivo ancora oggi e a cui fa da contraltare l’amara consapevolezza che i delinquenti, responsabili di tali madornali illegalità, possano viversi soddisfatti e impuniti delle loro malefatte: che un Carafa Fernando, un medico che ha tradito il giuramento di Ippocrate, si pregi ancora di far parte dell’Ordine dei Medici di Foggia che, senza vergogna, continua ad annoveralo tra i suoi membri e che possa illudersi perciò di essere un onorato professionista; che il Croella Nicolino, una persona che, già a vista, ispira il sospetto di gravi problemi di ordine psichico, continui, (altro onorato membro dell’Ordine dei Medici) a svolgere attività nell’ambito della sanità pubblica, da impunito; che il Balice Mario, il segretario-mellifluo-gentiluomo e insidiatore del gentil sesso comunale ma amico del mammasantissima, goda tutt’ora della “sudata” e lauta pensione e della altrui stima; che la Belmonte Silvana, assurta alla dirigenza grazie, ahimé, ai miei suggerimenti, possa sentirsi innocente del tradimento di una persona amica e fiera della propria falsità e delle azioni nefande a cui si è resa disponibile; che il Giuliani Giuliano, sindaco zerbino del Caposiena, possa viversi, immemore del suo debito personale nei confronti del dipendente che, dopo averne tessuto pubblicamente le lodi, ha, dopo tre mesi tradito per farne omaggio al suo cancerogeno assessore; che, per raschiare il fondo, il Sacco Ciro, quello del “sotto il vestito niente”, possa ritenersi tutt’ora soddisfatto di sapendo di celare il proprio nulla sotto il manto della propria divisa; che il Caposiena Fernando, possa portare vanto d’aver saputo dimostrare il suo potere nel conseguimento di un malvagio obiettivo, usando le persone e rimanendo invisibile e ineffabile agli occhi della giustizia. Questi squallidi personaggi hanno rovinato la mia professionalità, la mia carriera, la mia persona, la mia vita, eppure la loro se la godono impuniti senza doverne scontare il castigo. Ma, nonostante il mio stato depressivo e l’avvilimento per queste constatazioni, non penso, per quanto a volte il dubbio mi abbia sfiorato, di poter giungere, date le mie più profonde convinzioni, alla decisione, vista la mancanza di solidarietà constatata nel tempo, di porre fine alla mia vita come unica e ultima risoluzione per trovar requie alla pena di questo vissuto e dell’omicidio morale che ho subito senza averne riscatto. Nel frattempo sono ormai anni che non torno - penso di tornarvi in futuro - a San Severo, un paese che ho amato in passato e da cui mi son sentito tradito; un paese capace di fregiarsi del titolo di “Città” senza saperne il motivo e, nel contempo, incapace di dar mostra di possedere il tessuto proprio di una società civile e verso il quale ho già avuto modo di pronunciare la frase di Furio Camillo: “Ingrata patria, non avrai le mie ossa! (*) al momento del mio esilio; frase che, ora che sto seriamente meditando un espatrio defini tivo, penso di poter rivolgere, nell’esiliarmi, anche al paese Italia, questa nazione inci vile. j) CONCLUSIONE SECONDA « Noi abbiamo valore se gli altri ci danno valore » ho sentito da qualche parte. Una frase che, amaramente, è forse vera nella nostra società attuale ma che proprio non riesco a condividere in q uanto - in comunione e sintonia con tanti anonimi perseguitati, ghettizzati o massacrati ( magari ebrei che rispolveriamo una volta all’anno per cerimoniale manifestazione dei nostri alti valori umanitari e civili, in odore di ipocrisia ) - non ritengo di poter lasciar all’arbitrio dello squallore spirituale e della indifferenza altrui di decidere del mio valore di essere umano e di persona. E certamente come diceva Popper non sarà la decisione di un giudice che emette una sentenza sbagliata a farmi pensare che non esista la Giustizia e mi manca la speranza di poter contare - aggiungo io - sull’aspettativa di una Giustizia Divina. Mi rimane, al momento, solo di concludere che, quando in un paese il potere legislativo scrive leggi (vedi l’art.32 della Costituzione e l’art.1 della 180/1978) a cui il potere esecutivo non attuazione e che il potere giudiziario non sanziona, si è giunti alla barbarie civile. Ma non per questo vien meno, tuttavia - come è nello spirito di questa mia memoria - la ingenua convinzione che in un tale stato di cose possa esserci luogo per un “Quarto potere” che mostri di essere capace di insorgere a evidenziare e porre alla berlina le responsabilità dei garanti di tali poteri, conclamandone le omissioni e denunciandone le storture e le inadempienze quando queste conculcano le libertà civili e calpestano i diritti sanciti a difesa del singolo e della persona. 5 giugno 2014 Giovannantonio Macchiarola (*) [N.d.R. In realtà, a errata corrige, la frase «Ingrata patria, non avrai le mie ossa» è di Sciplione l’Africano.]
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Queste pagine sono una rielaborazione grafica di contenuti già pubblicati nel 2017
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