sanseveropuntoit, 14 novembre 2024
Nel 1984 quando fui oggetto di una persecuzione viscerale da parte della Amministrazione comunale per il mio rifiuto a sottostare a una imposizione ingiusta e vessatoria, ho ottenuto la firma a una lettera di solidarietà da parte di cento, no, novantanove dipendenti comunali. Sì, è vero che qualcuno ha poi chiesto di essere cancellato; che altri hanno detto di aver firmato per “isbaglio”; altri che avevano firmato perché non avevano letto. Purtuttavia, avevano firmato cento persone. Ne ho già fatto il racconto nella prima parte delle Straordinarie Avventure di un Impiegato nel Comune delle Bananas e facciamo un confronto vent’anni dopo! Mentre sono regolarmente in servizio, per una cospirazione preordinata da amministratori e funzionari, vengo attratto in un tranello per essere sottoposto a un trattamento sanitario assurdo e illegale. Eppure erano in molti a sapere cosa si stava organizzando. Ne erano a conoscenza ma non mi hanno messo sull’avviso, non hanno “osato” esporsi ad informarmi, a mettermi in guardia… e non faccio dei nomi solo per evitare che la responsabilità di pochi distolga l’attenzione dalla responsabilità della massa. Alcuni colleghi sono, tra l’altro, venuti persino a trovarmi in ospedale, è vero ma, se per farmi fuori avessero organizzato un omicidio assoldando un killer per togliermi di mezzo, sarebbero anche venuti, e forse anche di più, al mio funerale per poi tornare alle loro faccende abituali dopo aver assolto al rito cerimoniale. Ma torno al punto. A fronte delle novantanove firme di solidarietà raccolte nel millenovecentottantaquattro, per una faccenda molto più grave e un’azione invereconda e criminale, la lettera di solidarietà nei miei confronti è stata firmata solo da cinque dipendenti; firme che non ho mai reso pubbliche per evitare, se non una ritrattazione, una ritorsione contro i firmatari ma, di più, per la vergogna che avrei avuto a mostrarne così poche Zombi? L’invasione degli Ultracorpi? Oppure hanno bevuto tutti allo stesso acquedotto? Ma lasciamo perdere la ricerca delle cause, sconosciute certamente a me ma non a chi ha partecipato a questo gioco. Siano altri a cercarne le motivazioni. Restiamo ancora nell’ambito comunale. Comprendo benissimo che un ufficio come l’URP - che viene premiato a livello nazionale, che ottiene menzioni sui giornali, recensioni su riviste amministrative, che crea una rete civica quando la massa dei dipendenti non sapeva cosa fosse Internet se non un posto dove guardare i porno, che ottiene finanziamenti dello Stato per un progetto ideato in autonomia coinvolgendovi altri Comuni del comprensorio - poteva essere mal visto da colleghi invidiosi, abituati a millantarsi reciprocamente di essere gran lavoratori, mentre si vivevano il lavoro solo in attesa che scoccasse l’orario per interromperlo e della fine del mese per ritenersi meritevoli di uno stipendio. Del mio lavoro io ne ho, invece, fatto un’arte, un’espressione partecipata della mia vitalità che si realizzava in se stessa; un azione creativa ed esaltante senza il misero fine di un compenso, senza attesa di averne un ritorno, sentendomi ripagato dal semplice adempiervi e, per questo, senza sentirne il peso o la stanchezza tanto da rispondere a quel cittadino che mi compativa per il mio impegno, aggiungendo che tutto quel mio lavoro era inutile in quanto alla fine mi avrebbero buttato nel pozzo che si trova all’interno del Comune, in quel giardinetto tra l’ufficio tecnico e l’aula consiliare. Il piacere di lavorare, di realizzare cose nuove, di migliorare il vecchio, di ottimizzarlo, risolvendo, via via, problematiche diverse, senza limiti di orario e di tempo. E a quello risposi: ”Zitto, non glielo far sapere quanto mi piace fare quello che sto facendo, altrimenti mi chiederanno di pagare per farmelo fare!” Di fatto, ho avuto un’esperienza lavorativa, per iniziative, efficienza e risultati conseguiti, per creatività e consensi ricevuti, che nessun dipendente, mi è mai stato pari, così che, nonostante le ritorsioni negative e, forse, in virtù di queste, la mia attività di dipendente comunale rimane del tutto eccezionale, fuori dall’usuale, e me lo posso consentire certamente “fuori dal comune” per cui, ancora a distanza di anni, ne sono tanto orgoglioso da avere il piacere di farne il racconto, accolto sempre con stupefatta meraviglia da chi ascolta ciò che ho realizzato.
Un impiegato fuori dal comune
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I SANSEVERESI
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