sanseveropuntoit, 21 febbraio 2025
IL CD-ROM
“SAN SEVERO 2000”
LA DIOCESI
MUSEO DELLA CATTEDRALE DI SAN SEVERO CREDITS: a cura di Roberto Pasquandrea IL MUSEO: gli argenti Tra i reperti di maggiore rilevanza artistica possiamo ammirare un superbo baldacchino di argento, argento dorato e bronzo dorato, opera del maestro Pietro Florio (bollatore dal 1832 al 1839 e presente con quattro reliquiari nella cattedrale di Amalfi), utilizzato per le solenni esposizioni eucaristiche. Altrettanto ammirevole è il maestoso ostensorio d'argento, commissionato da mons. Antonio    La    Scala al maestro Gennaro Russo, del quale si hanno notizie fin dagl'inizi del XIX secolo (un ostensorio dello stesso autore si trova nella cattedrale di Amalfi e porta questa incisione: A. D. 1850). Su questa raffinatissima opera d'arte, la molteplice raffigurazione allegorica (il Tetramorfo, cioè i simboli dei quattro evangelisti, l’Agnello pasquale sul libro dei sette sigilli dell'Apocalisse, la Fede che illumina l'universo, il pellicano, simbolo di Cristo, che si lascia divorare dai suoi piccoli, i pampini con i grappoli d'uva ed i fasci di spighe di grano) si fonde meravigliosamente con un fastoso ornato, dando vita ad un ‘unicum’ del quale si resta ammaliati dalla straordinaria resa estetica e profondamente toccati dalla lezione di teologia eucaristica che impartisce. Tra gli ostensori visibili nel Museo, richiama la nostra attenzione un ostensorio d'oro, commissionato nel 1938 ai fratelli Tavani di Roma in occasione del 1° Congresso Eucaristico Diocesano. Un ostensorio d'argento, il più antico, con lo sferale che si erge su di un cuore fiammeggiante e sostenuto da due angeli, una iconografia quasi canonica e più volte reiterata nel ‘700, sebbene con varianti di non poco conto, e, infine un ostensorio d’argento, proveniente dalla chiesa di Santa Lucia, con sferale posto in una cornucopia, traboccante di grappoli d'uva e spighe di grano, a sua volta sostenuta da due angeli. Molti i calici presenti nel Museo e tra questi un calice d’argento, oro e pietre preziose del maestro Nicola Sessa (operante dal 1742 al 1769), probabilmente appartenuto alle Benedettine; un calice d’argento eseguito dal celebre Michele Pane, bollatore a Napoli dal 1830 al 1860, che reca a sbalzo i simboli della passione di Cristo; un calice d’argento, in stile neoclassico, eseguito da Vincenzo Bonomo, attivo a Napoli dalla fine del Settecento agl’inizi dell'Ottocento; un calice d’argento di Luigi Pane, morto a Napoli nel 1740; due calici d'argento del XVII secolo, uno non bollato, l’altro di argentiere non identificato, lavorati a cesello e traforo e, infine cinque calici d'argento, assegnabili al XVIII e XIX secolo. In tre grandi cartegloria, due candelieri ed un Crocifisso per altare (tutti di Pietro Florio), si fondono in piena armonia reminiscenze barocche e la già consolidata lezione del Neoclassicismo. Possiamo, poi, ammirare diverse aureole, di cui una di argento dorato, di Pasquale Schisano, bollatore nel 1830 e 1832, che eseguì altri lavori nella cattedrale di Otranto e quattro corone d’argento, una delle quali porta la firma di Vincenzo D'Onofrio, che operò a Napoli dal 1830 al 1850, alcuni bolli del quale si trovano su di un calice del santuario di Santa Maria dell'Arco e su di un incensiere della chiesa dei Gerolomini in Napoli. Oltre ai pastorali dei vescovi Adeodato Summantico, Giulio de Tommasi, Valentino Vailati e Silvio Cesare Bonicelli, sono notevoli quattro grandi lampade ad olio d’argento, di cui una reca il bollo di Pietro Florio ed un’altra quella di Michele Pane. Splendida, per la sua lavorazione (fusione, cesello e sbalzo), è la lampada del XVII secolo che si pensa provenga dal soppresso convento benedettino. Possiamo, quindi, apprezzare l’elevata caratura artistica di un tabernacolo mobile, opera di Vincenzo Caruso, mentre ancora di Michele Pane sono un vassoio, una bacile ed un'anfora di argento con stemma del vescovo Giulio     De     Tommasi , utilizzati durante le celebrazioni dei pontificali. La stupenda pergamena con bordi dipinti, che si trova nella prima sala, servì per redigere l’atto di fondazione del Monte Frumentario : un pio sodalizio istituito nel 1718 dal vescovo Adeodato   Summantico , che lo finalizzò al prestito di grano a basso tasso d'interesse ai contadini indigenti, per affrancarli dalla sconfinata e devastante ingordigia degli usurai. Uno dei gioielli del Museo è rappresentato da un reliquiario in pietra con coperchio di alabastro, con il quale Eimerado, primo vescovo della distrutta Dragonara, consacrò nel 1045 la chiesa di Santa Maria a Mare dell'abbazia benedettina di Tremiti, che subito dopo quell’evento sarà annoverata tra i cenobi cassinesi più ricchi e potenti dell’Italia meridionale. Degni di particolare nota sono anche i quattro piatti da colletta in rame~cipro, databili dal XIII al XVI secolo, eseguiti verosimilmente da Ebrei, e forse anche da Saraceni, che avevano il loro ghetto in San Severo. Il seicentesco Crocifisso in bronzo, argento e lapislazzuli era quello che l’arcidiacono consegnava al novello vescovo quando questi prendeva possesso della Cattedrale. Reperti di grande suggestione, sebbene alquanto truculenti, sono rappresentati, poi, da diversi cilici e flagelli di terrificante capacità lesiva, resi più raccapriccianti dalle tracce di sangue che ancora li ricoprono. E’ verosimile che provengano dal monastero di San Lorenzo.
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