sanseveropuntoit, 12 Aprile 2018
Ma
mi
trovavo
davanti
un
muro
di
gomma
e
non
vorrai
credere,
o
mio
perplesso
lettore,
che
se
avessi
ricevuto
risposte
non
te
ne
avrei
dato
conto
in
ogni
caso,
tanto
che
resto
perplesso
io
stesso
di
fronte
a
questo
atteggiamento da commesso di un negozio di informatica…
Tanto
era
coacervo,
aggrumato,
informe
e
inespresso
quel
continuo
reiterare…
«la
sentenza
blindata…
la
situazione
cristallizzata…
serenità…»
che mi trattenni dal perdere la pazienza…
Non
c’è
stato
modo
di
avere
risposta
alla
mia
semplice
domanda:
il
motivo
del
rifiuto
a
procedere
-
in
conseguenza
della
sentenza
penale
che
aveva
riconosciuto
in
capo
a
quei
delinquenti
il
reato
di
sequestro
di
persona
e
gli
altri
reati
connessi
-
per
il
danno
non
patrimoniale
cagionato
da
atto
illecito
connesso
a
diritti
della
persona
(art.
2059
c.c.
Libro
IV,
Tit.
IX,
Dei
fatti
illeciti
)
ritenendo
che
il
risarcimento
fosse
assorbito
da
quello
ottenuto
dal
datore
di
lavoro
per
non
aver
questi
provveduto
alla
tutela
della
mia
salute
(art. 2087 c.c.
Libro V, Tit.II, Del lavoro e dell’impresa
).
Ritrovo
un
appunto
preso
nel
corso
della
terza
o
quarta
telefonata,
se
valesse
numerarle,
a
proposito
delle
mie
argomentazioni
quando
ritenevo
ancora
aperta
la
possibilità
di
Appello
e
lo
riporto
così
com’è,
per
quando
fuori
luogo,
avendolo
trovato
solo
adesso
e
ritenendolo
utile
a
una
migliore
comprensione delle mie argomentazioni.
“…
in
quanto”,
dicevo
a
proposito
dei
motivi
di
ricorso,
“la
sentenza
di
appello
è
basata
sul
presupposto
che
io
avessi
problemi
di
ordine
psicologico
in
quanto
ciò
era
stato
ampiamente
riconosciuto
dalla
sentenza
di
primo
grado.
Orbene
questa
afferma,
apoditticamente
e
aprioristicamente,
che
il
richiedente
è
affetto
da
disturbi
mentali
come
si
darà
conto,
dice
il
giudice,
nel
prosieguo
della
sentenza
per
giungere,
alla
fine,
ad
affermare
che
le
prove
di
tale
condizione
mentale
sono
da
rinvenirsi
negli
allegati
della
parte
resistente
!
E
lei
dice
che
non
c’è
motivo
di
ricorrere?
Ma
di
più!
Nella
sentenza
di
Appello
il
giudice
fa
riferimento
alla
sentenza
penale
del
2008
e
ne
riporta
stralci
che
evidenziano
come
il
sindaco
sia
stato
riconosciuto
penalmente
colpevole
e,
tra
l’altro,
bugiardo
per
aver
sostenuto
essere
stata
la
moglie
a
chiedere
il
trattamento
coatto,
come
riaffermato
(
pari,
pari)
negli
allegati
della
parte
resistente
utilizzati
dal
Giudice
per
fornire
prova
dei
problemi
psichici
del
ricorrente.
Sentenza
penale
ove
si
concludeva
che
non
c’erano
ragioni
che
consentissero
un
trattamento
sanitario
coatto
architettato
al
solo
scopo
di
sollevarlo
da
quell’ufficio;
affermazione
riportata
testualmente
dallo
stesso
Giudice
del
lavoro
di
Appello
con
l’aggiunta
«come
poi
si
è
verificato»…
e
lei
mi
dice
che non ci sono motivi per ricorrere?”
Ma,
ancora
una
volta,
senza
una
risposta
da
parte
dell’avvocato
che
io
possa
riportare
per
poterla
condividere
o,
pur
non
condividendola,
poterla
riferire,
con
quell’apodittico
rifiuto
di
agire
in
base
al
danno
ingiusto,
già
riconosciuto penalmente, in quanto, a suo dire, ero già stato risarcito.
Risarcito
dal
Comune!
Dal
datore
di
lavoro,
semmai!
Non
dalle
persone
che
hanno
attentato
ai
miei
diritti
fondamentali,
costituzionalmente
riconosciuti.
Un risarcimento che deriva da una condanna penale…
Ma a che serve che io riporti i miei argomenti o solleciti risposte!
“Lei
mi
sta
togliendo
il
diritto
di
agire
contro
delinquenti
riconosciuti
che
se non c’era una legge che…”.
Lei
le
sapeva
quelle
cose,
che,
per
quanto
quei
delinquenti
fossero
stati
successivamente
riconosciuti
colpevoli
con
sentenza
passata
in
giudicato,
non
potevano,
per
essere
stati
assolti
in
primo
grado,
essere
sottoposti
alla
condanna, facendo, tuttavia, unicamente salve le pretese civili.
Si
chiama
responsabilità
Aquiliana,
responsabilità
extra
contrattuale,
derivante dalla lesione di diritti primari…
Ora,
ci
voleva
tanto
a
dirmi:
No,
guardi:
l’articolo
tot
dice
che…
e
il
combinato
disposto
dell’articolo
tal’altro…
per
cui
quanto
da
lei
sostenuto
è
impedito,
vietato,
scartato,
reso
impossibile,
inverosimile,
assurdo,
inconcepibile…
tanto
che
solo
una
mente
malata
come
la
sua
-
come
per
l’appunto
dice
la
sentenza
che
è
ormai
passata
in
giudicato
-
può
ritenere
ragionevoli,
concepibili,
logici
o
solo
minimamente
razionali
le
osservazioni
che
continua
a
vomitare
senza
mai
esaurirsi?
Non
le
basta?
Sono
io
l’avvocato
e
ho
l’informato
supporto
di
un
collega
avvocato
che
ha
seguito
più di me la vicenda…
Sì,
l’ultima
frase
l’ha
detta!
All’incirca…
ma
nulla
ha
detto
a
proposito
dell’articolo
tot
a
dell’articolo
tal’altro
né
delle
mie
condizioni
mentali
e
delle
mie
allucinazioni,
limitandosi
solo
a
dire
che
è
così,
(e
lì
a
ripetere),
che
è
cristallizzata,
che
potevo
anche
trovare
un
altro
avvocato
di
parere
diverso ma solo per perdere soldi in un’inutile causa…
“Ma
se
pure
fossi
stato
colpevole
avrei
avuto
diritto
ad
un
avvocato!?”
le
dissi
a
un
certo
punto.
“Ma
si
rende
conto,
avvocato,
che
lei
in
questo
modo
mi
sta
mobizzando;
mi
sta
escludendo
la
possibilità
di
agire
e
non
dà
nessuna risposta alle questioni che le pongo …”
Ma
niente,
tanto
che
ero
sul
punto,
esasperato,
di
trasbordare
oltre
ogni
costumanza
e
solo
per
esentarmene,
arreso
e
avvilito,
terminai
dicendo:
“…
capisco che è una questione di entropia e questo paese è ormai inquinato”.
Ma
niente,
niente
da
fare!
Dietro
il
suo
“lei
non
capisce…
non
è
così…”
non
traspariva
altro
che
un
ottuso
disconoscimento
delle
mie
valutazioni
e
con
lei
non
mi
ero
impegnato,
come
con
l’avvocato
di
Foggia,
a
non
porre
in
discussione
la
sua
chiusura
per
cui,
lo
confesso,
per
non
mandarla
a
quel
paese
me
ne
uscii
con
quel
riferimento
all’entropia,
col
suo
valore
politico
e
concettuale,
senza
alcuna
pretesa
che
lo
cogliesse
e,
per
impedirmi
di
profferire
altro,
chiusi
ripetendo,
avvilito
e
sconsolato
quella
parola,
«entropia», mentre lei continuava a dire “No, non è così…”.
Niente da fare! Entropia e basta!
Oppure sono un fuori di testa, per sentenza ormai passata in giudicato?
Capitolo settimo
Giovannantonio@aruba.it
Giovannantonio Macchiarola
Di nuovo la moglie dell’amico Giovanni