La moglie del mio amico Giovanni
Ebbene, allo stesso modo che mi aveva dato ragione prima («che la cosa importante è la tranquillità»), così mi fu dato merito del senso di dovere che, rinunciando alla mia «tranquillità», mi imponevo a difesa della mia dignità di persona! Quella accondiscendente contraddittorietà mi faceva nascere, al momento, qualche sospetto sulla sua capacità di cogliere il valore e il senso della mia lotta e della mia resistenza a quello stupro! Riassumendo il lungo e complesso dialogo, stavo a richiederle assistenza per impugnare in Cassazione la sentenza di Appello del Giudice del lavoro, pubblicata il 20 giugno 2017 (per la quale, nell’eventualità di un rigetto, avevo intenzione di adire, successivamente, la Corte Europea) e, in secondo luogo, l’avvio della causa per il risarcimento dei danni a carico dei responsabili del mio sequestro, già condannati con sentenza penale di Appello passata in giudicato. Poiché lei ricavava una impressione negativa dal rifiuto dell’avvocato di Foggia di continuare ad assistermi, cosa che la portava a considerare improponibile il ricorso che intendevo fare per la fiducia d’ufficio che riservava al parere di quello, la invitavo a prendere contatto con lui per ulteriori chiarimenti e per prendere accordi per il ritiro del fascicolo riguardante la causa mentre, per quanto riguardava l’assunzione dell’incarico per il risarcimento del danno riconosciuto penalmente a carico degli imputati, ne rimandavo l’esame per lasciare preminenza al ricorso in Cassazione Civile in considerazione che andava a scadere il 20 di dicembre, praticamente un mese. . Per evitare di tediare il mio cortese lettore potrei anche chiuderla qui ma, se pure riesco facilmente a omettere il racconto del travaglio, dell’affanno, della tensione e, direi, della esaltazione di quei giorni, non posso evitarne il riassunto in quanto solo allora, e solo a seguito di questo contatto con la moglie dell’amico Giovanni, ebbi la necessità e l’occasione di avere piena consapevolezza delle due sentenze emesse dal Giudice del lavoro. In effetti fin lì, per quanto l’avessi scaricata alla fine di ottobre, il rigetto che ne ebbi dalla visione delle prime pagine, mi impedì di avere piena cognizione della sentenza di Appello, avevo mai letto la sentenza di primo grado del Giudice del lavoro , per quanto risalente al 2010. Quest’ultima mi era stata, a suo tempo, trasmessa dall’avvocato di Foggia in un allegato del tutto illegibile per cui, fidandomi dell’assicurazione datami dall’avvocato che erano del tutto ben fondate le motivazioni per il ricorso, non me ne detti pensiero. Solo anni dopo, ebbi a richiedere una copia all’avvocato che mi feci spedire per posta ad un indirizzo di comodo nel 2012. Nemmeno quella, tuttavia, consentiva una lettura agevole per cui, ora che avrei dovuto farla pervenire alla moglie dell’amico Giovanni, dovevo trovare il modo di risolvere il problema. Nel frattempo, ovvero nella stessa giornata(18 novembre 2017), le inviai una mail dove, riassumendo, la lasciavo «libera di decidere se farsi o meno carico di tale impegno» e restavo «in attesa di conferma della sua disponibilità ad assumere l'incarico» con l’invio della sola sentenza di appello del Giudice del lavoro contro cui ricorrere per Cassazione e con l’intesa che «nel caso accettasse l’incarico» le avrei inviato anche quella di primo grado, oltre ad accreditarle la somma dovuta per onorario e per spese. Ai problemi che avevo in quei giorni con il cellulare, trovandomi in una zona in cui non avevo linea tanto da essere costretto a spostarmi per chiamare, si aggiunse il problema di non poter più accedere all’hard disk esterno dove avevo tutti i dati nonché i problemi con la stampante e, quindi, la impossibilità di utilizzare lo scanner per inviare una copia leggibile della sentenza di primo grado del 2010. La seconda telefonata avvenne dopo tre giorni nel corso dei quali, dopo aver dovuto prima risolvere i problemi con la stampante, poi con l’hard disk esterno, ero riuscito a leggere ‘tutta’ la sentenza che rigettava il mio appello e, cosa per me scandalosa, quella del Giudice del lavoro di primo grado del 2010 che «dimostrava» la sussistenza di «problemi psichici» a mio carico senza altra prova che le dichiarazioni della «parte resistente», sebbene nel frattempo fosse intervenuta la sentenza penale che nel 2008 ne aveva riconosciuto la falsità! Riuscii, comunque, a trasmetterle tutta la documentazione in mio possesso il 21 novembre e, dato che il ricorso per Cassazione sarebbe scaduto il 22 dicembre, chiudevo la mail dicendo che che l’avrei richiamata «nei prossimi giorni» per conoscere le sue valutazioni sulla possibilità di proseguire anche in sede giudiziaria nella mia impari lotta contro i “mulini a vento”. Successivamente all’invio della documentazione, durante un ulteriore contatto telefonico avvenuto alla fine di novembre e durato molto meno dopo che l’avvocato si era messo sul chi vive dopo il primo e dopo il terzo, ebbi modo di ribadirle tutte le motivazioni e le ragioni a sostegno della fondatezza del ricorso in Cassazione come le avevo ricavate dalla lettura delle sentenze civili di primo e secondo grado e dalla giurisprudenza, che avevo nel frattempo visionata, dell’Alta Corte. Poiché sarebbe complicato enucleare lo sviluppo di quei contatti telefonici rappresentandoli distintamente nella loro sequenza temporale, proverò, senza distinguerli, a darne conto e riassunto sulla base dei ricordi e degli appunti che ho conservato di quei giorni.
sanseveropuntoit, 5 Aprile 2018
Capitolo settimo
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Giovannantonio Macchiarola