Capitolo Primo
UN SINDACO A DIGIUNO DI LEGALITA’
17 febbraio 2017
Egregio Presidente Nel prendere atto della mancanza di riscontro alla mia precedente, voglio presumere, al momento, che la sua disattenzione sia attribuibile solo alla molteplicità dei suoi impegni. Nel timore, tuttavia, che il suo silenzio sia invece l’effetto di un fraintendimento della questione che le sottoponevo semmai la mia vicenda sia assimilabile ad un “caso” e non volendo pensare che lei possa farsi partecipe della indifferenza, se non dell’omertà, che ho dovuto subire nel corso di quindici anni, vengo ad importunarla di nuovo, e questa volta più estesamente, per chiarire le ragioni che mi hanno spinto a coinvolgerla. Ciò che volevo evidenziare con la mia precedente è la circostanza che il sindaco del Comune di San Severo, che lei si è compiaciuto di “onorare” nella veste di “Assessore alla Legalità” (ponendosi a sua disposizione come specchietto per le allodole e coccarda da appuntarsi in petto) è quello stesso che, nella veste di consigliere di opposizione, prima, e di assessore poi, ha partecipato passivamente alla persecuzione attuata, nonostante i miei meriti e, anzi, proprio per quelli, contro la mia persona e contro il mio “Ufficio” (se si compiacesse di condividere il mio concetto di Ufficio) e che ora, nella veste di Sindaco, vi persevera attivamente nella cieca, se non ottusa, presunzione che la serie di azioni illegali perpetrate contro il mio Ufficio e a danno della mia persona siano da ritenersi legittime. Ma quello che avrei voluto lei cogliesse (come avrei voluto comprendesse qualche testata giornalistica) è che la mia vicenda mette in luce la sordida mafiosità della Amministrazione del Comune di San Severo (da cui non credo, tra l’altro, sia immune molta della pubblica amministrazione in generale) e della sfrontata capacità di questa di agire contro Regolamenti, Statuti, Leggi e contro lo stesso “senso comune”, contando, sul silenzio omertoso e colpevole di una ignava, ignobile, ossequiente e squallida dirigenza, cooptata per assenza di meriti dalla politica; sulla pecorile e succube acquiescenza del personale; sulla omertà dei sindacati locali e provinciali nonché sulla inerzia dell’Arma dei Carabinieri e, come i fatti dimostrano, della stessa Magistratura. Confidavo, pertanto, sulla sua sensibilità di magistrato per comprendere il malessere di vivere in un Paese da Terzo Mondo dove la “Magistratura” - alla faccia della obbligatorietà dell’azione penale - attende sei mesi per dare avvio ad una indagine e, poi, ben ventotto mesi per disporre - ma solo a seguito dell’intervento del Presidente della Repubblica - la iscrizione dei “presunti colpevoli” nel registro degli indagati con l’accusa principale di “sequestro di persona” per dare, poi, avvio a sei o sette richieste di pretestuose, quanto inutili, e del tutto superflue indagini suppletive da parte del GIP mentre ad ognuna la medesima Procura faceva richiesta di non rinvio a giudizio degli indiziati. Il tutto senza prestare alcuna attenzione alle mie ulteriori diciotto denunce per tutta una serie di atti e comportamenti, ciascuno penalmente rilevante, dalle quali risultava evidente la continuazione di reato e con le quali si evidenziava, tra l’altro, la “circostanza” di percepire lo stipendio in assenza di qualsiasi attività lavorativa; denunce tutte archiviate senza alcuna indagine, data la mia ingenua inaccortezza a non richiedere di esserne avvisato, mentre la povera vittima di tali reati veniva impunemente vessata sul piano personale, morale e professionale e tenuta lontano da qualsiasi attività lavorativa fino a doversi arrendere a richiedere il pensionamento anticipato. segue…
LETTERA APERTA a Michele Emiliano
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