LA LETTERA «contro» GIANNI LANNES c) IL FATTO Il 6 di giugno del 2001, mentre ero regolarmente al lavoro nelle mie funzioni di dipendente pubblico e Responsabile dell'Ufficio Relazioni con il pubblico del Comune di San Severo, in provincia di Foggia, dietro occulta pressione di Fernando Caposiena, allora assessore comunale, e su richiesta dell'allora segretario generale, Mario Balice e di Silvana Belmonte dirigente di settore di quell'ente, sono stato sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) grazie ad una certificazione medica pre-confezionata e del tutto falsa rilasciata da due così detti medici delinquenti e rei confessi, rispondenti alle generalità di Nicolino Croella e Fernando Carafa e ad una Ordinanza del Sindaco pro-tempore, Giuliano Giuliani, servo e succube dell'assessore Fernando Caposiena il quale intendeva in tal modo “vendicarsi” per aver io difeso dall’obbrobrio e salvato dalla gogna l’allora Direttore generale del Comune, Luigi Cologno (con la precisazione che questi, quando per motivi “politici” tornò successivamente in auge, non ha mai mosso un dito a mia tutela o difesa: inescusabile vittima e complice degli usi e costumi del potere di palazzo). "Ci vuole una mazzata nelle corna! Fine del tonno!” Questa la filosofia del mafioso Caposiena, dell’uomo di potere che non può accettare sgarbi senza punirli nel modo più feroce. E allora, dovevo subire “la mazzata”! Per tale scopo venne premeditata già dal giorno precedente, come acclarato negli atti giudiziari poi abilmente ignorati dal futuro giudice, una imboscata a mio danno alla quale tentarono di attirarmi sin dalle prime ore lavorative di quel 6 giugno (il mio D-Day) e nella quale, venni tratto, alla fine, e con inganno, nelle ultime ore di quella giornata, lasciato nel frattempo ad attendere ai miei compiti a contatto con il pubblico - che per la natura del lavoro svolto in quei mesi, era prevalentemente composto da mamme, per lo più con bambini a seguito - in palese contraddizione con la "pericolosità" proditoriamente attestata, come sarà di seguito chiarito, dal medicastro su suggerimento del mediconzolo. Attirato, quindi, in altro ufficio comunale, venni afferrato e strattonato da due vigili ben addestrati alla bisogna su disposizione dell’incaricato del brigantesco misfatto, il comandante dei vigili, Ciro Sacco; impedito di avere contatto con la collega che mi aveva fin accompagnato; rifiutata ogni ulteriore richiesta di contattare altre persone e, alla presenza del mediconzolo Croella, negata la possibilità di avere piena cognizione del certificato e dell'ordinanza, per essere trascinato e trasportato, senza mezzi termini, di prepotenza e con esagitata violenza, al reparto psichiatrico dell'ospedale civile di San Marco in Lamis. Non dirò altro sul ricovero e sulla degenza se non che, quando feci presente che ero stato "catturato" mentre ero regolarmente al mio lavoro, il medico che avrebbe dovuto fare la prima valutazione ebbe a rispondermi: “Ha visto che lei ha bisogno di cure? Solo una persona farneticante può affermare che una pubblica amministrazione possa fare una cosa simile ad un proprio dipendente!”; che fui trattenuto in ospedale (ritengo solo per tutelare il mediconzolo proponente e convalidante) solo cinque giorni sui sette previsti dalla legge e che venni dismesso con la diagnosi di "situazione invariata".
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Queste pagine sono una rielaborazione grafica di contenuti già pubblicati nel 2014
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