Lufficiochenoncè
UN MARESCIALLO CHE NON SEMBRAVA VERO
Il
giorno
in
cui
conobbi
Mariano
Loiacono
rimane
memorabile
non
per
i
motivi
che
ho
detto
ma
perché
fu
il
giorno
in
cui
feci
la
mia
prima
denuncia
ai Carabinieri.
Tornavamo
in
auto
a
San
Severo
da
quell’incontro
e
mentre
Peppino
vantava
il
medico
che
mi
aveva
fatto
conoscere
e
io
gli
esponevo
i
motivi
che
mi
avevano
indotto
ad
accettare
il
suo
consiglio,
ricevetti
una
telefonata
da
Ugo
Berardi
che
mi
comunicava,
con
la
voce
di
chi
sta
facendo
una
chiamata
di
nascosto,
che
avevano
prelevato
i
computer
per
portarli
“di
sopra”.
Me
ne
adontai
in
maniera
assoluta.
Il
fatto
d’essere
venuto
a
conoscenza
del
cambio
della
serratura
della
porta
d’ingresso
al
mio
ufficio
non
mi
aveva
creato
alcuna
preoccupazione.
A
quello
avrei
saputo
rimediare
a
tempo
debito
al
mio
ritorno
in
servizio
ma,
adesso,
il
prelevamento
del
mio
computer
lo
vidi
come
un
attacco
diretto
al
mio
ruolo
e
che
smentiva
del
tutto
le
mie
aspettative
future.
Avevo,
inoltre,
il
sospetto
che
stessero
ad
esaminarlo
nel
tentativo
di
trovarvi
tracce
da
utilizzare
per
incastrarmi
in
un
qualche
modo
o
solo
per
distruggere
quello
che
vi
avevo
memorizzato
da
quando
ero
in
Segreteria,
sette
o
otto
anni
prima;
i
dati
delle
elezioni
degli
ultimi
dieci
anni;
il
lavoro
e
i
programmi
gestionali
che
avevo
creato
quando
ero
all’ufficio
Esenzione
Ticket;
il
mio
programma
per
la
gestione
dei
Lavori
Pubblici
senza
contare
tutti
i
dati
raccolti
per
il
progetto
PASS.
In fin dei conti, la storia della mia vita lavorativa fino a quel punto.
Ciò
voleva
dire
guerra
aperta
e
senza
esclusione
di
colpi
e,
certo,
per
loro
quella
era
cosa
minima
a
confronto
di
ciò
che
avevano
già
osato
ma
per
me
fu
il
segnale
che
le
mie
previsioni,
che
tutto
si
risolvesse
al
più
presto,
erano completamente infondate.
Che fare?
Ci fermammo alla Caserma dei Carabinieri alla periferia di San Severo.
Dover
denunciare
quella
cosa,
era
per
me
sconfitta;
sarebbe
stata
la
prima
volta
in
cui
delegavo
ad
altri
la
mia
difesa
rinunciando
a
farvi
fronte
solo
in
via
amministrativa
e
contando
solo
con
le
mie
forze.
Me
ne
pento
ancora
oggi
perché,
in
tal
modo,
affidandomi
alla
latitanza
della
legge,
mi
sentii
esentato da ogni ulteriore iniziativa a livello personale.
Trovammo
all’accettazione
un
carabiniere
annoiato
che
ci
suggerì
di
rivolgerci
ad
un
avvocato
per
scrivere
la
denuncia.
Insistetti
nel
dire
che
volevo
farla
direttamente
in
Caserma
e
che
non
capivo
perché
mai
avrei
dovuto ricorrere ad un legale per presentarla.
Si
persuase
più
per
noia
che
per
convinzione
affidandoci,
quindi,
a
un
graduato
altrettanto
renitente
che,
dopo
aver
ascoltato
qual’era
l’oggetto
della
denuncia,
disse
che
era
nel
diritto
del
Comune
disporre
dei
computer
come volesse, in quanto strumenti di cui non ero io il proprietario.
Poi,
visto
che
insistevo
a
spiegargli,
senza
che
quello
le
ascoltasse,
le
ragioni
sottese
a
quel
modo
di
procedere
da
parte
della
amministrazione
comunale
e,
in
più,
in
mia
assenza,
si
mise
stancamente
all’opera,
alzandosi
più
volte
con
l’evidente
intenzione
di
cercare
qualcuno
che
lo
sostituisse
vista
la
poca
dimestichezza
che
dimostrava
nell’usare
il
computer.
Lo
trovò
in
un
giovanottone
con
baffi
e
pizzetto
che
stava
passando
nel
corridoio
e
che
si
mise
all’opera
con
la
scioltezza
di
chi
conosce
il
mestiere
e
al
quale
ebbi
modo
di
illustrare
i
miei
sospetti
sulle
motivazioni
che
potevano
esserci
dietro
quello
che
consideravo
un
abuso
in
quanto
strettamente connesso a fatti ben più gravi.
Sembrò
molto
colpito
dal
mio
racconto
e,
visto
il
suo
interesse,
fui
estremamente
disponibile
e
colloquiale
facendo
anche
riferimento
alla
questione
degli
assegni,
che,
come
gli
spiegai,
era
stata
l’origine
occasionale
di
tutta
quella
vicenda;
della
mia
attività
quale
responsabile
Urp;
del
Tso
disposto
mentre
ero
al
lavoro
nel
mio
ufficio
e
delle
ragioni
nascoste
dietro
quel
comportamento
criminale
tra
le
quali
il
ruolo
che
avevo
avuto nella richiesta di defenestrazione del Direttore Generale.
Alla
fine,
per
essermi
lamentato,
dei
colleghi
che
lo
avevano
preceduto
mi
disse:
“Senta,
lei
mi
ha
raccontato
delle
cose
che
avrebbero
trovato
la
massima
attenzione
in
qualunque
Caserma
d’Italia!
Glielo
posso
assicurare!”
e
mi
consigliò,
quindi,
di
mettere
per
iscritto
e
in
maniera
quanto
più
circostanziata
quello
che
gli
avevo
raccontato
fin
lì,
con
tutte
le
ragioni di causa e in tutti i suoi particolari.
Tanto
fui
colpito
da
quella
disponibilità
e
così
rallegrato
dall’aver
trovato,
in
un
uomo
in
uniforme,
una
persona
sensibile
e
capace
di
ascolto
da
non
vederlo
più
come
un
graduato
in
divisa
ma
come
un
amico
per
cui,
nel
salutarlo,
stringendogli
la
mano,
in
modo
forse
infantile
gli
dissi:
“Maresciallo,
le
posso
dire
che
non
ho
mai
sopportato
le
divise
e
specie
quella
da
militare
quando
ho
fatto
il
servizio
di
Leva.
Ma,
ora
devo
dirle
che,
se
avessi
saputo
che
lei
aveva
fatto
domanda
per
arruolarsi
nei
Carabinieri,
avrei
fatto
la
domanda
di
arruolamento
nell’Arma
anche
io,
assieme a lei!”
Fu così che conobbi il Maresciallo Giovanni Fingo!
Capitolo DODICESIMO
L’UFFICIO CHE NON C’E’