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LA DENUNCIA DEL SEQUESTRO DI PERSONA DEL 6 GIUGNO 2001
Fu un vero e proprio strazio scrivere quella denuncia.
Non sapevo da dove iniziare, a chi intestarla e cosa raccontare.
Mi
trovavo
inerme
davanti
alla
pagina
bianca
aperta
sul
mio
computer
di
casa
senza
sapere
cosa
scrivere,
inebetito
dalla
congerie
di
cose
da
dire,
riflettendo
su
come
organizzare
la
mia
scrittura,
sopraffatto
dall’ampiezza
dei fatti da trattare e dall’angoscia da cui ero preso nel riviverli.
In
più,
c’era
l’invito
fattomi
da
quel
Maresciallo
a
raccontare
il
tutto
nei
suoi
particolari
con
l’indicazione
delle
ragioni
che
vi
avevano
dato
origine
o
n’erano
state
la
causa,
né
potevo
venir
meno
all’asettico
linguaggio
che
doveva
caratterizzare
una
denuncia,
rendendomi
conto
che
io,
per
esserne
la
vittima coinvolta, non ero in grado di assumerlo.
Di
volta
in
volta,
nei
dieci
giorni
che
mi
occorsero
per
scriverla,
ero
sopraffatto
dalla
rabbia
e
dalle
lacrime
che
mi
costringevano
ad
abbandonare
quella
scrittura,
a
distrarmene,
sentendomi
incapace
di
proseguirla e del tutto insoddisfatto di quanto avevo già compilato.
Fu
un
supplizio
al
quale
mi
sottoposi,
nel
proseguirla,
solo
per
soddisfare
l’aspettativa
di
chi
mi
aveva
dato
quel
compito
da
eseguire,
come
un
alunno
che
dovesse
dimostrare
al
professore
Fingo
che
era
capace
di
assolvere
all’incombenza
che
m’era
stata
affidata
e
che
riuscii
a
portare
a
termine
vedendolo
come
il
mio
unico
destinatario,
senza
pensare
alla
sfilza
di
nomi
e
di
uffici
individuati
nella
intestazione
della
denuncia
e
che,
via
via,
si
accrescevano nel proseguire in quel martirio.
Riuscii
a
concluderla
solo
in
questo
modo.
Dovevo
soltanto
dar
conto
al
Maresciallo
Fingo
di
tutti
i
fatti
che
ritenevo
opportuno
rappresentargli
in
modo
che,
poi,
fosse
lui
a
sintetizzarli,
a
farne
oggetto
di
denuncia
formale
nel rinvenirvi tutti gli estremi di reato che potesse individuarvi.
Solo
alla
fine,
quando
mi
accorsi
della
lunghezza
del
mio
scritto
e
dopo
averlo
riletto
per
individuare
quelle
parti
che
avrei
potuto
cancellare
cosi
da
ridimensionalo,
non
trovandone
alcuna
che
potessi
considerare
inutile
se
non
venendo
meno
al
compito
affidatomi
da
Fingo,
mi
risolsi
a
ridurne
i
caratteri in maniera da non farla sembrare troppo lunga.
Per renderne più intellegibile la lettura, suddivisi il testo in sezioni.
Nella prima (da A1 a A26) raccontavo il sequestro del sei giugno;
nella
seconda
(da
B1
a
B12)
riassumevo
il
tentativo
da
parte
della
Belmonte
e
del
segretario
Balice
di
coinvolgere
mia
moglie
nel
loro
complotto;
nella
terza
(da
C1
a
C25)
riferivo
tutti
i
fatti
riguardanti
la
questione
degli
assegni di Maternità e per il Nucleo familiare;
nella
quarta
(da
D1
a
D3)
davo
conto
del
rifiuto
al
rilascio
di
copia
della
delibera riguardante Cologno.
Confesso
che,
dopo
averla
scritta
e
riletta
prima
di
stamparla,
non
ho
mai,
nel
corso
dei
ventidue
anni
successivi
e
fino
ad
oggi,
avuto
il
coraggio
di
rileggerla.
Troppo
strazio
ha
comportato
la
sua
scrittura
alla
fine
di
quel
mese
di
giugno
del
2001
per
farlo
e
riaprire,
così,
una
ferita
che
ancora
sanguina.
Ora
che,
nel
pubblicarla,
l’ho
riletta
con
l’atarassia
che
gli
anni
comportano,
ho
rilevato
alcune
discrepanze
con
quello
che
ho
già
scritto
e
che
non
vado
a
modificare,
ritenendo
che
il
racconto
che
ne
ho
fatto
“dal
vivo”
in
quel
fine
giugno
del
duemilauno,
resti
più
attendibile
di
quanto,
dopo
ventidue
anni,
sia
rimasto
nella
memoria
di
una
persona
senile.
Inezie,
d’altronde, che non meritano una correzione da parte mia.
Questa
denuncia
rimane,
in
ogni
caso,
il
documento
“storico”
di
una
vicenda
possibile
solo
in
un
Comune
delle
Bananas,
e
la
lascio
alla
sensibilità
e
all’attenzione
di
un
futuro
lettore
che
ne
voglia
avere
cognizione
per
rendersi
conto
della
inciviltà
e
dell’arbitrio
che,
in
palese
sfregio
al
rispetto
della
dignità
e
dei
diritti
civili
della
persona,
ho
dovuto
vivere
e
che
vivo
tuttora,
in
questa
Repubblica
delle
Bananas,
ovvero
in
uno
Stato
che
si
definisce
«democratico»,
grazie
all’omissivo
e
delittuoso
comportamento
della
Procura
della
Repubblica
di
Foggia
e
dei
Giudici
che,
a
nome
di
questo
Stato
Costituzionale
e
a
loro
imperitura
vergogna,
hanno
sentenziato,
contro
la
verità
e
la
giustizia,
a
favore
degli
attentatori
ai
miei
diritti
e
alla
mia
dignità
personale,
per
quanto
garantiti
dalla
Costituzione
Italiana.
Capitolo DODICESIMO
L’UFFICIO CHE NON C’E’