Lufficiochenoncè UNA ORDINANZA ILLEGALE …segue Non anticipiamo, dunque, e torniamo a quel giorno. Carolina Tricarico mi racconto, tempo dopo, e lei non è una ‘buonanima’, che in quella fatidica data, il 6 di giugno del 2001, aveva notato un particolare trambusto e l’agitazione della Silvana Belmonte che le era sembrata molto indaffarata senza saper darsene ragione e che, poi, era stata convocata nella stanza del sindaco dove, come disse, c’era la Belmonte, Sacco, il comandante dei vigili, il sindaco seduto al suo posto come se la cosa non lo riguardasse e altre persone che non conosceva. “E cosa ti hanno detto?” “Niente! Stavano tutti lì, e nessuno diceva niente”. “ E tu, cosa hai fatto?” “Niente! Sono stata lì, aspettando che qualcuno mi fornisse la ragione di quella convocazione. Poi, visto che nessuno parlava, ho salutato e, senza che nessuno facesse o dicesse qualcosa per fermarmi, sono tornata nel mio ufficio. “Volevano che fossi tu ad attirarmi nella trappola che stavano preparando ma nessuno ha avuto il coraggio di chiedertelo!” “Se avessero osato quella cosa, mi sarei rifiutata!” mi rispose. “Non l’avrei mai fatto! Avevo capito che stavano preparando qualcosa contro di te ma non potevo pensare…” “Ma perché non mi hai avvertito? Perché non mi hai chiamato?” “Perché non immaginavo quello che stavano facendo, anche se avevo capito che stavano organizzando qualcosa contro di te”. “Ma perché non me l’hai fatto sapere, non mi hai avvertito?” insistetti. Rimase imbarazzata, come se cercasse di trovare una ragione al suo silenzio. “Perché…”, disse alla fine “Perché ho avuto paura che tu potessi reagire male; che facessi un colpo di testa! Non lo so. Qualcosa che avrebbe peggiorato la tua situazione”. Confesso che non le credetti. Era solo una dipendente comunale in fin dei conti, timorosa di mettersi contro oscure potenze o di essere considerata una delatrice, una che rivelava i segreti d’ufficio; una che in pochi anni aveva capito come va il mondo e qual’era l’andazzo sul quel Comune e che razza di gente fosse quella per cui, per non avere problemi, farsi i fatti propri è la soluzione migliore. “Ma capisci? Se tu mi avessi detto…, io avrei trovato una soluzione, mi sarei comportato in un altro modo…” ma a che poteva servire il mio rimprovero? In fin dei conti, anche mia moglie, convocata il giorno precedente dalla Belmonte e dal Balice per essere invitata a farsi lei promotrice di un Tso nei miei confronti, non mi aveva detto niente e la perdonai in quello stesso istante come, poi, senza fargliene rimprovero, ho perdonato anche mia moglie. Seppi in seguito da Cristina De Santis che avevano provato anche con un’altra dipendente della Segreteria che, per quanto insistessero, si era rifiutata con fermezza di fare una cosa tanto vergognosa, finché trovarono sia il verme che l’amo nella Elena Colio. segue…
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Capitolo UNDICESIMO L’UFFICIO CHE NON C’E’
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