Lufficiochenoncè L’ASSURDA RAGNATELA …continua Ma, prima di procedere in tal senso, non posso tralasciare alcuni particolari. Per esempio, l’invito del Sacco che, non sapendo come comportarsi alla mia richiesta di farsi ragionevole e di riconsiderare la gravità di quanto stava accadendo, mi disse, in maniera subdola: “Andiamo in un altro ufficio, così ne possiamo parlare con calma”. Rincuorato da quello che mi sembrava l’unico modo per uscire dalla trappola, dopo aver invitato i due solerti vigili che, in evidente esecuzione di un prestabilito comando, avevano cercato di afferrarmi, a non mettermi le mani addosso in quanto ero in grado di camminare da solo, andammo in un’altra stanza. Qui il Sacco parve avere un attimo di coscienza o, almeno, qualche dubbio sull’ordine che stava eseguendo, perché alla mia richiesta di poter almeno vedere, “ne avrò pure il diritto!” gli dissi, il certificato che stava eseguendo, me lo diede da leggere. Senza guardare altro, appena lessi la frase “Certifico di aver visitato in data odierna…” mi alzai di scatto dalla sedia dicendo: “Ma nessuno mi ha visitato!”, ma tornai subito a sedere vedendo i due vigili pronti a saltarmi addosso e, compreso che ero in trappola, rivolgendomi ancora al Sacco gli dissi, con voce ferma e con tutta chiarezza, che volevo mutare il trattamento obbligatorio in volontario. Mi rispose che non era possibile e questo avrei potuto richiederlo solo dopo il trasferimento in Ospedale in quanto non era una sua competenza. Disperato per quella risposta, insistetti: “Senti, Ciro. Fammi fare almeno una telefonata”. Inizialmente ripeté la medesima cosa, che non ero in arresto ma alle mie insistenze alla fine si arrese e mi disse, prendendo il telefono in mano: “Dimmi il numero”. Chiaramente non avevo un avvocato da chiamare ma il mio amico Peppino Donnanno era laureato in Giurisprudena e lavorava all’AUSL. Ma non era certo l’avvocato quello che volevo consultare ma invocare un amico perché mi venisse in soccorso. Ma il Nicolino Croella, dall’inizio presente senza che lo avessi meritato di uno sguardo e rimasto fin nell’ombra e in silenzio, appena sentì le prime cifre che stavo dettando, comprendendo che quello era il prefisso dell’Ospedale, si alzò, inalberato, gridando: “Ora basta!” e, come a un preciso segnale, i due vigili mi furono addosso, mi afferrarono con violenza, mi trascinarono a peso morto giù per una scala, vedendo in quella mia passività il solo modo di reagire a quel brutale sopruso ma apostrofando con “fascisti e nazisti” ciascuno di loro. Li conoscevo di vista. Uno era il fratello di una ragazza che aveva sposato un mio vecchio amico d’altri tempi, l’altro abitava di fronte al mio condominio. In macchina, stretto tra loro, mentre lo psicopatico Croella continuava, col suo fare goffo, a rimettere demenzialmente al loro posto dei fogli che continuavano a cadere dal cruscotto, cosa che fece incessantemente fino a destinazione, mi rivolsi a uno dei vigili, quello buono, e dissi: “Ma voi avete mai accompagnato persone colpite da un Tso all’ospedale?” e, all’affermazione positiva di quello, aggiunsi: “E avete mai visto un pazzo farsi condurre con tanta calma in manicomio?” “In effetti, è un po’ strano!” mi rispose quello buono. L’infermiere, quello che era uscito dal muro e ora guidava, disse, rivolto al Croella: “Sembra allegro!” con un tono di derisione ammiccante. Scoprii solo allora che non mi portavano all’ospedale di San Severo per la visita preliminare, come mi attendevo e capii che era, dunque, il Croella quello che avrebbe dovuto controllare la necessità che fossi sottoposto a ricovero coatto. Tutto filava liscio, come pianificato! continua…
sanseveropuntoit, 20 luglio 2023 La musica del sito
Capitolo UNDICESIMO L’UFFICIO CHE NON C’E’
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