Lufficiochenoncè
L’ASSURDA RAGNATELA
Confesso
che,
ancora
a
distanza
di
oltre
ventidue
anni,
nel
racimolare
la
documentazione
in
mio
possesso
per
farne
la
più
corretta
esposizione,
sono
preso
da
un’ira
sorda
e
profonda
nei
confronti
del
sopruso
di
cui
sono
stato
vittima.
Sciorinare
quella
documentazione
per
metterla
in
ordine,
mi
fa
ancora
oggi
rivoltare
lo
stomaco,
mi
procura
uno
stordimento,
un
contorcimento
alle
budella:
l’ordinanza
del
sindaco,
il
certificato
di
“Sindrome
delirante
in
fase
di
scompenso”
firmato
dai
due
medici
che
non
avevo
neppure
visto,
con
l’aggiunta
da
parte,
degli
stessi,
di
“si
richiede
l’intervento
dei
vigili”
per
impedire
la
violenta
resistenza
del
forsennato;
il
comportamento
di
Sacco,
il
comandante
dei
vigili
che
aveva
impedito
che
Maria
Florio
si
facesse
testimone
della
violenza
che
mi
si
stava
facendo
e,
poi,
l’avermi
negato
di
poter
chiamare
un
avvocato
dicendomi
che
ciò
non
mi
era
consentito
perché
quello
non
era
un
arresto;
il
comportamento
del
medico
in
ospedale
che,
quando
gli
esposi
che
ero
normalmente
in
servizio
quella
mattina,
che
nessun
medico
mi
aveva
visitato
e
ch’ero
stato
attirato
in
un’imboscata,
ebbe
il
coraggio
di
rispondermi
che
ero
certamente
delirante
in
quanto
solo
un
folle
poteva
pensare
che
un
medico,
uno
psichiatra,
potesse
credere
che
una
amministrazione
pubblica
fosse
capace
di
fare
una
cosa
simile
a
un
proprio dipendente!
Una
conclusione,
quest’ultima,
che
non
so
se
faccia
demerito
più
al
Comune
di
San
Severo
che
a
codesto
sé
dicente
psichiatra,
che
avrebbe
potuto
avvedersi
della
evidente
discrepanza
tra
la
diagnosi
di
ricovero
e
il
comportamento
di
fatto
del
“paziente”
al
suo
cospetto,
del
tutto
senziente
pur dopo una esperienza tanto traumatica per la sua violenza.
Già
in
quei
giorni
comprendevo
benissimo
quanto
fosse
stata
subdola
la
richiesta
dell’intervento
dei
vigili
per
eseguire
l’ordinanza.
L’avevo
già
compreso
sul
momento!
Contavano
sul
fatto
che
mi
mettessi
a
sbraitare,
a
svergognarli
di
insulti,
a
fare
resistenza
all’arbitrio,
a
divincolarmi,
a
reagire
in
maniera
violenta,
a
farmi
aggressivo,
invece,
appena
i
due
vigili,
appoggiato
a
quella
porta
come
a
ritrarmi
da
quella
siringa,
mi
si
avventarono
addosso
cercando
di
afferrarmi
per
le
braccia,
reagii
con
la
massima
calma
dicendo,
sdegnato:
“Non
mettetemi
le
mani
addosso!”
mentre il Sacco diceva: “Va bene! Non te la facciamo la puntura!”
Ma
questi
sono
particolari
che
avrebbero
avuto
bisogno
di
un
testimone
per
conferma
e
solo
un
giudice,
nel
corso
di
un
processo
regolare,
avrebbe
potuto darvi ascolto per, poi, audire in contraddittorio le parti.
Per
questo
motivo,
poiché,
come
dice
il
poeta:
“Il
tempo
fugge
e
non
s’arresta
un’ora…”
e
io
di
tempo
non
ne
ho
molto
per
cercare
di
chiudere
o,
almeno,
di
inoltrarmi
più
a
fondo
nella
trama
del
mio
racconto,
ancora
più
vergognoso
di
quanto
abbia
potuto
riferire
fino
a
questo
momento,
cercherò
di
darne
conto
soltanto
utilizzando
le
“carte”,
i
documenti
che
restano
a
testimoniare
l’orribile
ragnatela
delle
ingiustizie
perpetrare
a
mio
danno
dai
funzionari
del
Comune
di
San
Severo
prima
e,
poi,
dalla
Procura
della
Repubblica
delle
Bananas
di
Foggia,
e
felicemente
conclusa
a
favore
dei
delinquenti con il beneplacito di giudici disonesti e indegni.
continua…
Capitolo UNDICESIMO
L’UFFICIO CHE NON C’E’