Lufficiochenoncera
DEFEZIONI E INDIFFERENZA
Poi,
nei
giorni
successivi,
fu
Maria
Florio
a
farmi
notare
quell’andazzo,
vedendo Cologno passare col suo seguito davanti all’ufficio.
“Ma
guardalo!”
mi
disse
pressappoco
“Non
ti
pensa
proprio
e
se
la
ride
di
te
ora
che
è
tornato
a
fare
il
Direttore
Generale.
Quando
aveva
bisogno,
veniva
a
cercarti
e
faceva
aspettare
la
moglie
di
fuori.
Ti
ricordi?
Ora
se
ne
frega
di
te
e
passa
senza
nemmeno
salutarti.
E
tu,
a
difenderlo
e
a
scrivergli
lettere!
Voglio
vedere un’altra volta…”
“Mari’,”
le
risposi
“se
me
lo
chiede
un’altra
volta,
starò
ancora
ad
aiutarlo
se
ne avesse bisogno!”
Non
aggiunsi
nient’altro
al
sarcastico
commento
di
risposta
ma
dentro
di
me
rimaneva
chiaro
il
concetto
che
una
volta
avevo
espresso
per
iscritto
a
Giuseppantonio
Belmonte
quando
era
sindaco:
“Siamo
servi
inutili.
Abbiamo
fatto
quello
che
dovevamo
fare”.
Se
avessi
fatto
qualcosa
con
il
fine
di
averne
una
controparte
o
per
pretenderla,
il
mio
interesse
avrebbe
tolto
valore
alle
mie
azioni e sarei stato solo un barattiere.
Nel
frattempo,
continuavano
a
venire
in
ufficio
le
persone
interessate
ai
due
assegni
e
quando
Maria
Florio
mi
chiese
se
non
fosse
il
caso
di
rinviare
quei
cittadini
agli
uffici
centrali
per
la
presentazione
di
quelle
domande,
le
risposi
che,
vista
la
mancanza
di
responsabilità
dell’Amministrazione,
era
meglio
che
continuassimo
noi
a
riceverle
in
quanto,
in
quell’andazzo
generale,
i
richiedenti non avrebbero altrimenti trovato a chi rivolgersi.
Tuttavia,
l’osservazione
fattami
da
Maria
lasciò
il
suo
segno
e
nei
giorni
successivi
scrissi
una
seconda
lettera
per
ribadire
in
maniera
più
articolata
la
mia
richiesta
di
liquidazione
inviandola,
questa
volta,
direttamente
al
Direttore
Generale, per provare a responsabilizzarlo.
Avevo,
nel
frattempo
concordato
con
Sandro
Vaccarella,
Dirigente
in
pectore
del
3°
Settore
in
cui
erano
ricompresi
i
Servizi
Sociali,
di
assumermi
anche
il
compito
per
la
erogazione
del
contributo
comunale
per
il
“buono
libri”
da
erogarsi
a
favore
delle
famiglie
indigenti.
Tale
compito
trovava
già
il
suo
fondamento
nel
data-base
creato
per
l’erogazione
dell’assegno
di
maternità
e
per
il
nucleo
familiare
che
si
sarebbe,
quindi,
arricchito
con
la
gestione
di
quell’ulteriore beneficio.
Ma,
ormai
spazientito
per
la
totale
inerzia
del
Direttore
Generale,
alla
fine
di
luglio
gli
inviai
un’ulteriore
lettera
nella
quale
significavo
il
mio
totale
disimpegno
per
quella
attività
insieme
alla
rinuncia
al
compenso
previsto
dal
progetto
di
produttività
e
già
portato
a
termine
nel
mese
di
giugno
e
l’invito
a
comunicarmi
a
quale
ufficio
avrei
dovuto
presentare
le
domande
accolte
e
istruite nel frattempo.
Al
rientro,
dopo
il
periodo
estivo,
ne
feci
un’altra
di
lettere,
sempre
sulla
questione
degli
assegni
e
sempre
dello
stesso
tono,
ripetendo
praticamente
il
contenuto della comunicazione precedente.
Anche
questa
terza
lettera,
nonostante
le
reiterate
ma
inutili
minacce,
rimase
senza
eco.
Anzi,
di
più,
perché
con
un
ordine
di
servizio
Maria
Florio
venne
richiamata all’Anagrafe.
Indignato
per
questa
sottrazione
non
trovai
altro
modo
per
esprimerla
che
quella di pormi in malattia.
Capitolo NONO
L’UFFICIO CHE NON C’ERA
Parte quarta