Tutto era accaduto in quell’ultimo giorno di propaganda elettorale delle elezioni che lo avevano portato alla carica di Sindaco. Quella sera la Piazza Municipio era piena di compagni e di garofani rossi e Lilino vi tenne il comizio di chiusura per il Partito socialista. Un discorso veramente trascinante con un finale impetuoso e roboante accolto da grida e da applausi tutti meritati a cui io stesso mi unii tenendo il garofano tra i denti per avere le mani libere di applaudire. Lilino era sceso dal palco, nella musica degli altoparlanti, circondato dai compagni e venne verso di me raggiante vedendomi applaudire con tanta convinzione e sembrò che la folla degli astanti si allargasse per dargli spazio mentre mi veniva incontro con le braccia aperte per abbracciarmi ed io, con le braccia allargate e con sentito entusiasmo, gridai: “Lilì, ti manca solo l’altezza è poi sei Craxi!” Ma lo dissi con tutta la benevolenza che avevo in quel momento verso di lui; come un complimento, una lode che lo rendeva pari al segretario del Partito Nazionale, e con un grande sorriso e senza pensare a male e lui mi aveva abbracciato in quel momento con lo stesso trasporto con cui io rispondevo al suo abbraccio. Che fosse qui da rinvenirsi il mio errore e la sua vendetta? In quella frase profferita come un complimento ponendolo al livello più alto del Partito? Di fatto ho presente quella affermazione del Segretario del Comune solo per questo motivo, essendo servita a riportarmi a quella serata e a quell’episodio. In fin dei conti che lui e Antonio Carafa fossero definiti “i piccoletti” come li aveva marchiati Elio Ugliola, non l’avevo mai intesa quella denominazione come una offesa, ma solo come una caratteristica distintiva. *** Di quell’impedimento ne avevo parlato con Donnanno, Giuseppe Donnanno, detto Peppino, un compagno socialista e amico di altri tempi e, come si sa, gli amici sono come i capelli che si tagliano e ricrescono ma, poi, alla fine, si perdono in vecchiaia. Il problema mi era chiaro. Se non andavo in servizio il giorno dopo, mi beccavo una denuncia come mi aveva ben messo in guardia Vittorio. Se, invece, prendevo servizio avrei dimostrato di temere quell’ulteriore fastidio con tutte le conseguenze che avrebbe potuto comportare e, di più, di convincermi io stesso che era la legge sbagliata e che due più due fa cinque! Peppino mi consiglio di andare da un avvocato ma, nonostante avessi minacciato di farlo parlando col segretario Corciulo, mi mostrai alquanto restio in quanto ero del tutto convinto che dare una svolta legale a quella vicenda mi avrebbe impedito di tenerla sul piano civile, oltre a significare una mancanza di fiducia nelle mie forze e nella mia capacità di controbattere sul piano personale. Ma lui insistette che era l’unica cosa da fare e, dopo aver alquanto dibattuto, alla fine mi arresi ad accettare il suo consiglio. Andammo da Lucio Ippolito, altro compagno di partito che conoscevo soltanto di vista non avendo mai con lui avuto contatti personali. Peppino dimostrava, invece, di averne frequenza chiamandolo per nome e parlandogli come a un vecchio amico. Incominciai a fare la storia di quell’anno fatidico partendo dall’inizio con tutti i particolari e i risvolti e, visto il tempo che il suo paziente ascolto mi consentiva, senza omettere nulla mentre quello, l’avvocato, disteso e paziente sulla poltrona oltre la scrivania, restava attento ad ascoltarmi senza interrompermi salvo, ogni tanto, profferire esclamazioni del tipo: “Ma questo è grave!” oppure “Questo è incredibile” o anche “Ma questo è penale!” Poi, alla fine di tutto il mio racconto, quando stavo per chiedergli come mi dovessi comportare a proposito della lettera che mi impediva di fruire del congedo di maternità e quale era il rischio se, non tenendone conto, non mi fossi presentato il giorno dopo in servizio, mi interruppe e mi fece la fatidica domanda: “Ma chi c’è dietro tutto questo?” “Come, chi c’è?” gli risposi. “C’è l’Amministrazione Comunale”. “Va bene!” rispose lui. “Certamente c’è l’amministrazione Comunale. Ma una protervia così specifica e determinata fa presupporre che ci sia qualcuno dietro, qualcuno che tira le fila…” “E che ne so?” risposi io ma poi, nel ricordo di quello che aveva detto Corciulo e per la suscitata memoria dell’episodio in quel comizio elettorale, risposi: “Che so? C’è il Sindaco! C’è Cologno!” Me lo ricordo ancora, come se mi fosse davanti ancora adesso, vederlo alzarsi dalla poltrona come in uno scatto da centometrista e, agitando le due braccia alzate sul capo, venir fuori da dietro la scrivania gridando: “Non ne voglio sapere niente! Non ne voglio sapere niente!” La cosa mi prese di sorpresa anche perché non aveva dato risposta all’unico quesito che ero venuto a porgli. “Ma, avvocato! Io voglio sapere soltanto che cosa può succedere se domani non vado in servizio”. “Non ne voglio sapere niente!” continuava a gridare venendo verso di noi che ci eravamo alzati stupìti, sempre agitando le braccia in alto, continuando a ripetere “Non ne voglio sapere niente!” come se con la sua voce volesse addirittura impedirsi di ascoltare la domanda che continuavo a porgli: “Ma che succede se non vado in servizio? Non lo diciamo a nessuno che siamo venuti da lei, ma almeno mi dia un consiglio!” Non s’interruppe comunque dal ripetere quella frase, “Non ne voglio sapere niente” fin sulla porta verso la quale ci aveva nel frattempo indirizzati e sempre agitando le braccia alzate che continuava a sbandierare oltre il capo. Finanche sulla porta che ci aveva aperto per farci uscire, a me che ripetevo che poteva almeno darmi un consiglio, che non lo avremmo detto in giro, continuò a ripetere, ormai con fare spazientito e quasi arrabbiato: “Non ne voglio sapere niente” e ci chiuse la porta alle spalle.
La musica del sito sanseveropuntoit 3 giugno 2022
Capitolo QUARTO incubo di una notte di pieno inverno L
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