INCUBO DI UNA NOTTE DI PIENO INVERNO
Era
questo
il
titolo
dato
a
quei
sette
sonetti
e,
almeno
del
titolo,
ne
ero
soddisfatto.
Seppi
in
un
qualche
modo
che
Minischetti
si
era
molto
risentito
per
quel
verso
in
cui
lo
descrivevo
mentre
in
piena
audizione
divorava
un
tarallo,
cosa
peraltro
accaduta
veramente
ma
non,
come
vi
era
descritto,
prima
di
chiamare
il
succube
e
infame
Livio
Caiozzi
il
quale,
in
effetti,
non
fu
mai
convocato
e
la
sua
evocazione
in
uno
di
quei
sonetti
è
solo
una
invenzione
poetica,
ovvero
una
licenza che mi ero consentita per dare il benservito al vile e spergiuro traditore.
Per
quanto
riguarda
Minischetti,
devo
dire
che
per
la
sua
bonomia
e
nonostante
alcune
sue
discutibili
affermazioni,
lo
vedevo
ancora
nella
simpatica
veste
di
Inquisitore
e
col
cappuccio
come
lo
aveva
descritto
Livio
Caiozzi
quando,
in
altri
tempi,
ci
scherzavamo
sopra;
immagine
di
cui
io
stesso
mi
ero
appropriato
tanto
che
avevo
detto
a
mia
moglie:
“Quando
Minischetti,
incappucciato
e
col
saio
dell’Inquisitore,
mi
metterà
al
rogo
in
piazza
Municipio,
tu
non
dire
che
sei
mia
moglie
se
no
metteranno
anche
te
sulla
pira!”.
E
non
fu
quella
l’unica
volta
in
cui
le
mie
parole
risultarono
fatidicamente
premonitrici!
Mi
permetto
al
momento
di
riportare
le
immagini
delle
due
facciate
del
ciclostile
e
solo
il
primo
dei
sette
sonetti,
quello
che,
oltre
a
riassumere
il
fatto,
era
il
più
ispirato
col
suo
mettere
in
luce
il
contesto
e
le
caratteristiche
del
personaggio rappresentato.
Stanotte ho fatto un sogno molto strano
perché ho sognato che l’Inquisizione
mi teneva in catene e in prigione
per farmi un processo cristiano.
Su una parete di quel tetro vano
c’era un disegno fatto col carbone
e, nell’oscurità, io, piano piano,
ne vedevo contorni e dimensione.
Era il disegno buffo di un ometto
seduto, ma coi piedi penzolanti,
su un seggiolone, truce nell’aspetto
a intimorire servi e postulanti
e sulla testa, come un ventaglietto,
c’era la scritta “Er più di tutti quanti”.
Capitolo QUARTO
incubo di una notte di pieno inverno
L