segue Telefonai a uno dei fornitori del Comune con appuntamento dopo le due, dopo la chiusura degli uffici, ed ero ancora intento a smontare la scrivania quando quello arrivò puntuale col suo tre ruote. Non riuscii a portare tutti i pezzi, solo la stampante e il computer con i componenti della scrivania su cui poggiarli, per l’arrivo di Gianni Altrui, evidentemente avvisato da qualcuno che mi faceva la guardia, tutto arrabbiato. “Ordine di Vittorio!” gli dissi e, aggiunsi “Ti lascio la scrivania, il pezzo principale!” Nel tempo riuscii a recuperare anche il resto anche se non ricordo come e quando. Comunque, quando nel mese di gennaio del 1993 ero in servizio presso la Segreteria comunale la mia scrivania era di nuovo assemblata nella sua interezza a forma di mezzo ferro di cavallo mentre Gianni Altrui non era stato eletto deputato. Conoscevo Gianni Altrui da anni, dai tempi del Centro Servizi Culturali dove lavorava insieme ai “piccoletti” e ho sempre avuto la sensazione di non essergli simpatico. Attribuivo, forse sbagliando, questa sua avversione al fatto che io ero, allora, un giovincello di vent’anni e avevo avuto modo, durante i dibattiti alla fine delle proiezioni dei film che il Centro proponeva, di mettere in mostra la mia tendenza di socialista anarchico e radicale in contrasto con il suo essere un comunista integrale. Ma ora, per quanto sia poco attinente al mio racconto, mi viene in mente quell’episodio accaduto qualche mese prima della faccenda della scrivania quando, entrando nel bar affollato prospiciente la piazza Municipio, lo salutai, mentre lui era alle prese con un caffè, in piedi al banco, e lui mi ricambiò chiamandomi Giovanni! “E no!” gli risposi “Tu sei Giovanni! Io, invece, mi chiamo Giovannantonio!”, sillabandolo bene il mio nome, al che lui, con pronta risposta e suscitando le risa degli astanti mi rimbeccò, a volo: “He! È tanto lungo il tuo nome che a dirlo tutto fa stancare!” per cui, andando verso di lui, risposi ad alta voce: “È chiaro che per poterlo pronunciare il mio nome bisogna conoscerlo tutto, l’alfabeto italiano!” e fu la fervida e più sonora risata dei presenti a farmene uscire vincitore. Questo episodio, lo ripeto, non c’entra nulla con questo racconto ma, poiché ho avuto modo di utilizzare più volte quella battuta come risposta a quanti nel tempo hanno avuto da scherzare sulla lunghezza del mio nome, non potevo avere occasione più acconcia per riportarlo se non legandolo al fallito trasbordo della mia scrivania dall’ufficio del neo assessore. ***
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sanseveropuntoit 29 marzo 2022
Capitolo Primo

2. Il trasferimento all’Ufficio «Ticket»

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