Affidare
ad
un
avvocato
la
soluzione
di
una
questione
del
tutto
chiara
su
un
piano
puramente
amministrativo,
non
rientrava
nella
mia
logica,
convinto
com’ero
che
bastava
solo
ragionare
alla
luce
di
una
legislazione
inequivocabile.
Lo
reputai
comunque
necessario
e
inevitabile
dopo
aver
scoperto
che
la
mia
richiesta
non
era stata accolta.
Costretto,
infatti,
a
ricorrere
ad
una
prestazione
di
pronto
soccorso
presso
un
ospedale
pugliese,
il
medico
di
turno,
dopo
avermi
richiesta
la
tessera
sanitaria
e
aver
richiamato
a
video
la
mia
posizione,
disse
con
tono
vittorioso
e
come
se
fosse
un
complimento:
«Ah,
residente
a
San
Severo…
via
dell’Angelo
Custode!»
Se
non
avesse
fatto
quella
eccessiva
precisazione,
non
avrei
mai
saputo che non ero residente nella via che davo per scontata.
Al
momento,
più
che
sorpreso
rimasi
del
tutto
stralunato,
in
quanto
sono
nato
a
Gambatesa
in
Via
Sant’Angelo
numero
nove,
per
cui
replicai
ingenuamente:
«No,
quello
è
l’indirizzo
di
nascita».
Il medico replicò. «Lei è residente a San Severo?»
«Sì»
«E abita in via dell’Angelo Custode?»
«No.
Ci
dev’essere
un
errore»
replicai.
«Abito
in
Via
Filippo
Pelosi…»
«Qui è scritto via dell’Angelo Custode!»
«Guardi, è certamente un errore!»
«Se
non
è
così,
deve
rivolgersi
al
suo
Comune…»
e
quello
che
aggiunse
non
lo
ascoltai
più
tanto
mi
era
salito
il
sangue
alla
testa
comprendendo
che
quello
era
lo
«scherzetto»
che
il
Comune
delle
bananas si era permesso a mia insaputa e a mio sfregio di farmi.
Un
colpo
basso,
infertomi
nascondendo
la
mano!
Un
insolente
sfottò; uno sberleffo!
«Provveda a farsi correggere l’indirizzo» continuò quello.
«Lei non può farlo?»
«Io?
No.
Comunichi
alla
sua
Asl
che
il
Comune
ha
sbagliato
e
si
faccia correggere l’indirizzo».
Non
stetti
lì
a
continuare
una
inutile
e,
data
la
circostanza,
del
tutto
inopportuna
diatriba,
e
incassai
il
colpo
che
quel
«figlio
di»
aveva
voluto farmi.
Questo,
chiaramente,
lo
pensai
per
intero
in
quel
momento
senza
però
esprimerlo
a
quel
medico
di
guardia
troppo
gentile
e
disponibile
nell’assistermi
con
la
sua
prestazione
e
con
il
consiglio
di
assumere
i
farmaci
prescritti
rispettando
la
cadenza
a
fianco
di
ciascuno riportata.
Un
abuso
chiaro
e
tondo,
sia
perché
avevo
avuto
esperienza
nell’uffico
anagrafe,
il
«camerone»
come
lo
si
chiamava
allora,
ma,
di
più,
per
tutta
la
normativa
che
avevo
nel
frattempo
consultato
per
accertarmi
della
fondatezza
del
mio
buon
diritto
a
vedere esaudita la richiesta nei termini da me indicati.
Ma
di
più,
mi
faceva
fremere
l’arbitrio
che
si
fosse
disposto
in
modo
difforme
da
quanto
da
me
indicato
senza
che,
a
distanza
di
oltre otto mesi, me ne fosse stata fatta comunicazione!
Trattato
come
una
cosa,
un
oggetto,
un
suddito
di
cui
disporre
secondo il capriccio e l’arbitrio del prepotente di turno!
Non
c’era,
quindi,
altro
modo
di
procedere
se
non
quello
di
rivolgermi
ad
un
legale
che
potesse
rappresentarmi
sul
posto
e,
innanzi
tutto,
visionare,
lui
di
persona,
la
mia
pratica
e
appurare
i
motivi
di
quella
residenza
inappropriata
e,
comunque,
quali
fossero
le ragioni della difformità a fronte di quella indicata.
sanseveropuntoit, 21 settembre 2024
L’ABUSO E LE INADEMPIENZE DEL COMUNE (3/4)