sanseveropuntoit, 21 febbraio 2025
IL CD-ROM
“SAN SEVERO 2000”
Dalle
ore
diciasette
che
entrarono
i
soldati
nel
monastero
sino
alla
sera,
le
porte
restarono
aperte,
ma
quell’umano
Uffiziale
mise
due
guardie
di
sentinella
avanti
la
porta,
affinché
altri
soldati
non
fossero
entrati
a
fare
altro
saccheggio.
Gli
ufficiali
desinarono
in
refettorio,
e
vollero
essere
serviti
dalle
monache.
Ma
quell'Ufficiale
più
volte
descritto,
non
permise
che
le
monache
giovani
avessero
ciò
praticato,
ma
sebbene
le
più
anziane.
Verso
sera
però
si
accorsero
non
essere
sicure
restare
nel
Monastero,
onde
pensarono
uscire,
ma
nell'incertezza
di
ritrovare
tra
i
vivi
i
loro
congiunti
che
il
popolo
aveva
massacrati
moltissimi
cittadini,
fecero
una
letterina
a’
signori
Petrulli,
che
abitavano
rimpetto
al
Monastero,
perché
venissero
in
loro
soccorso,
il
che
fecero
que’
signori,
accompagnati
da
altri
cittadini,
e
da
diversi
ufficiali
che
tenevano
alloggiati
in
casa
loro.
I
soldati
si
ostinavano
a
non
permettere
l'uscita
delle
monache,
quando
una
giovane
educanda
a
nome
Donna
Bettina
Galiani,
con
grande
coraggio
disse
ad
uno
di
quelli
uffiziali,
che
trovandosi
nel
chiostro
contro
sua
volontà
voleva
uscire
per
valersi
della
libertà,
questa
finzione
valse
a
far
permettere
la
sua
uscita,
e
quella
delle
monache.
La
comunità
allora
era
in
numero
di
cinquanta.
Di
esse
metà
andarono
in
casa
Petrulli,
metà
andarono
al
Casone,
e
poi
in
Lucera
da’
loro
parenti,
ed
anche
perché
città
più
tranquilla,
e
le
altre
andarono
alle
loro
case,
restando
fuori
del
monastero
circa
un
mese;
poi
ritornando
trovarono
il
monastero
finito
di
saccheggiare
da'
paesani,
perché
allora il popolo basso dominava.
Dopo
quindici
giorni
della
loro
entrata
nel
monastero,
uscirono
di
nuovo
per
un
falso
allarme,
ma
tornarono
subito,
e
mai
più
ebbero
motivo
di
uscire
dalla
clausura.
Dall'erezione
del
monastero
sino
al
1802
le
monache
tenevano
la
costumanza
di
desinare
ciascuna
nella
propria
stanza,
ed
all’oggetto
ogni
religiosa
aveva
settimanalmente
una
tenuissima
somma
di
poche
grana,
per
comperare
il
fresco
in
carne
o
pesce
a
suo
piacimento.
Si
aveva
un
poco
di
aceto,
un
poco
di
olio,
un
poco
di
sale,
ed
una
libbra
di
pane
in
ogni
giorno.
Per
gli
abiti
avevano
annualmente
trenta
carlini,
le
converse
ne
avevano
la
metà.
Da
ciò
avveniva
che
il
monastero
si
trovava
a
poter
disporre
di
tante
vistose
somme
per
fabbriche,
ed
acquisti
di
tenimenti.
Siccome
fu
eletto
vescovo
di
San
Severo
monsignore
D.
Gian
Gaetano
del
Muscio
delle
Scuole
Pie,
costui
trovò
irregolare
che
ciascuna
religiosa
avesse
desinato
nella
sua
stanza,
e
persuase
la
comunità
di
mangiare
nel
refettorio
giusta
la
prescrizione
della
Regola
di
S.
Benedetto,
che
ordinava
la
mensa
in
comune.
Le
monache
ubbidirono
alle
paterne
insinuazioni
del
Vescovo,
ed
egli
ne
fece
il
Decreto
nel
giorno
23
febbraio
1802,
che
poi
si
mise
in
vigore
la
prima
domenica
di
maggio,
nel
quale
giorno
in
ogni
anno
per
rimembranza,
le
Badesse
davano
alle
monache
il
complimento
di
ducati
sei,
ed
un piatto dolce.
Per
vestiario
alle
monache
fece
dare
ducati
venticinque,
e
ducati
dodici
alle
converse.
Questa
somma
si
ripartiva
in
semestre;
metà
si
dava
il
giorno
di
S.
Scolastica
a’
dieci
di
febbraio,
e
metà
il
giorno
di
S.
Chiara,
dodici
agosto.
Il
giorno
de’
morti
si
davano
due
piastre,
e
tre
se
ne
davano
la
vigilia
di
Natale,
con
una
libbra
di
cioccolata,
ed
una
di
torrone;
castagne
infornate,
mele
e
noci
si
davano
nella
prima
antifona
maggiore,
che
precede
il
Natale.
Uno
staio
d'olio
pel
lume
da
tenersi
la
notte
nella
stanza.
Un
tomolo
di
grano
nel
mese
di
agosto.
Nel
giorno
di
S.
Benedetto,
e
negli
altri
giorni
solenni
non
mancava
mai
un
piatto
straordinario,
oltre
le
tre
vivande
solite.
La
Vigilia
del
Natale
si
davano
due
pietanze
di
pesce.
Questo
era
un
legato
che
rimase
alla
comunità
“ab
antico”.
Un
sacerdote
a
nome
D.
Francesco
diede
al
monastero
una
somma
dalla
quale
le
monache
ne
dovevano
ritrarre
la
somma
di
ducati
venticinque
annui
per
le
due
vivande
di
pesce
ne
la
Vigilia
di
Natale,
da
darsi
come
ho
detto
di
sopra,
e
la
frutta
in
ogni
mattina,
senza
nessun
obbligo
di
messe
od
altro,
ma
solo
voleva
che
si
dicesse
in
coro
una
antifona
la
vigilia
ed
il
giorno
di
S.
Lorenzo
ed
una
antifona
la
vigilia
ed
il
giorno
dell’Immacolata
Concezione,
con
l’oremus
per
l’anima
sua,
che
tuttavia
si
dice
dalla
comunità
ne’
descritti
giorni.
L'inverno
si
aveva
il
fuoco,
nelle
malattie
le
medicine,
e
quanto
infine
bisognava
alle
monache.
In
ogni
giorno
si
faceva
l'elemosina
alla
portiera.
I
luoghi
pii
erano
soccorsi
sempre,
ed
anche
le
cittadine
povere
erano
sovvenute
senza eccezione.
Nella
chiesa
secondo
le
occorrenze
si
facevano
grandiose
e
solenni
feste.
Si
contribuiva
alle
feste
pubbliche
della
città,
tanto
ecclesiastiche,
che
secolari.
Molte
somme
furono
date
per
contribuzione
alle
strade
di
Puglia
nel
1780,
altre
al
Governo
francese,
ed
altre
al
Governo
passato,
tanto
al
tempo
di
Ferdinando
l°,
quando
di
Ferdinando
2°.
Il
monastero
colle
sue
rendite
contribuì
anche
con
considerevole
somma
al
Monte
de’
Pegni,
istituita
per
opera
di
monsignor
D.
Rocco de Gregorio.
Dimenticavo
dire
che
la
nuova
chiesa
edificata
e
benedetta
poi
da
monsignor
Farao
il
25-5-l785,
furono
gli
altari
da
monsignor
del
Muscio
l’anno
1806
agli
undici
di
maggio
sotto
il
pontificato
di
Pio
sesto,
il
quale
rinnovò
all'altare
del
SS.
Crocifisso
tutti
i
privilegi
che
aveva
prima,
come
altare
privilegiato.
Poi
la
chiesa fu consacrata da monsignor D. Giulio de Tomasi il 28 di aprile del 1833.
IL MONASTERO DI SAN LORENZO
Manoscritto della suora benedettina
Donna Filomena de Ambrosio