sanseveropuntoit, 21 febbraio 2025
IL CD-ROM
“SAN SEVERO 2000”
Le
monache
coll’andare
del
tempo
fecero
acquisto
di
moltissimi
tenimenti,
specialmente
rustici,
i
quali
davano
molta
rendita
e
pensarono
di
meglio
costruire
il
monastero.
Nel
1738
fecero
venire
da
Napoli
il
chiarissimo
architetto
D.
Giuseppe
Astarita,
il
quale
formò
la
pianta
ed
il
disegno
dell'intero
monastero, non escluso la chiesa.
Il
primo
quarto
che
si
fabbricò
ebbe
termine
nel
1740,
ed
è
verso
settentrione.
Poi
si
diede
principio
alla
chiesa
nel
1778
e
fu
terminata
nel
1784.
Non
faccia
meraviglia
se
la
fabbrica
durò
del
tempo,
per
vedersi
terminata,
perché
la
lamia
si
rifece
due
volte,
perché
la
prima
volta
si
trovò
bassa,
e
niente
simile
al
disegno dell’architetto, e si dové battere, e rifarla come al presente si vede.
Lo
stucco
fu
lavorato
tutto
per
mano
del
signor
Ambrosio
Piazza,
il
quale
impiegò moltissimo tempo per tale lavoro.
La
direzione
della
fabbrica
fu
affidata
al
maestro
Pasquale
Iannelli.
Il
prospetto
di
detta
chiesa
fu
lavorato
dal
maestro
scalpellino
Francesco
Cervone
La
facciata
e
la
zoccolatura
è
tutta
di
pietre
estratte
dalla
pietrera
di
S.
Giovanni
in
Pane,
lavorata
nel
luogo
detto
Posta
del
Campo,
da
dove
così
lavorata
si
trasportava
qui
a
spese
del
monastero.
La
spesa
occorsa
per
la
fabbrica
di
detta
chiesa
fu
di
ducati
ventottomila,
cioè
per
facciata,
marmi,
quadri,
ornamenti,
doratura,
pergamo,
gelosie,
vetri,
campanile,
campane,
e
quando
altro
fu
necessario per abbellirla nel modo che si trova anche presentemente.
Fu
benedetta
da
monsignor
D.
Giuseppe
Antonio
Farao
nel
mese
di
maggio
addì
25
dell’anno
1785.
Le
prime
novizie
che
fecero
la
funzione
d'indossare
l'abito
monastico
nella
nuova
chiesa
furono
Donna
Chiara
de
Luca
da
Serra
Capriola e Donna Maria Giuseppe Santellena da Sansevero.
Prima
si
costumava
che
le
monache
defunte
uscivano
dalla
clausura
per
seppellirsi
nella
loro
chiesa,
e
l’ultima
che
uscì
fu
Donna
Maria
Giuseppe
Santelli, forestiera morta il giorno dell'Epifania l'anno 1785, di anni ventinove.
Siccome
era
quasi
al
termine
la
nuova
chiesa,
così
dopo
aver
fatto
i
funerali
alla
testé
nominata
defunta,
la
fecero
restare
insepolta
in
una
cassa
ben
chiusa
e
la
tennero
nella
chiesa
vecchia,
che
era
situata
dove
adesso
è
il
parlatorio
segreto.
Benedetta
poi
la
chiesa,
e
terminato
l'oratorio
che
abbiamo
dentro,
in
un
angolo
del
quale
vi
è
la
sepoltura,
la
seppellirono.
Ma
la
prima
monaca
che
passò
a
miglior
vita,
dopo
essersi
fatta
la
sepoltura
dentro
1a
clausura
nell'anzidetto
oratorio
fu
Donna
Giulia
Carmela
Valletta,
morta
di
anni
settantaquattro il giorno di S. Severino otto gennaio del 1786.
Da
questa
epoca
sino
al
1864
le
monache
defunte
non
uscirono
più
dalla
clausura,
neanche
per
la
celebrazione
de’
funerali
che
si
facevano
in
chiesa,
ma
si
esponeva
il
cadavere
nell’interno
dell'oratorio
col
cancellone
aperto,
che
sporge dentro la chiesa, ed è situato dietro l'altare maggiore.
I
quadri
della
chiesa
vecchia
sono
presentemente
situati
nel
suddetto
oratorio,
tanto
quello
della
Cena,
quanto
quello
di
S.
Lorenzo
e
S.
Benedetto.
L’immagine
del
SS.
Crocifisso
è
situato
dentro
un
altare
di
stucco
appositamente
fatto
anche
nell'oratorio,
e
vi
è
accesa
continuamente
la
lampada;
questa immagine è miracolissima.
Dopo
di
aver
terminato
la
chiesa,
le
monache
fecero
continuare
la
fabbrica
per
un
nuovo
quarto,
che
corrisponde
a
mezzogiorno;
questo
quarto
forma
il
più
bello
del
monastero,
che
oltre
ad
avere
anche
il
terzo
piano
è
fornito
di
grotta,
di
grandi
cameroni
sottani,
di
parlatorio,
porteria,
parlatorio
segreto,
conserva
per
tenere
l'acqua
fresca
nel
tempo
estivo,
e
tante
altre
cose.
Ma
sventuratamente
la
fabbrica
non
poté
essere
terminata
per
la
venuta
de’
Francesi
nel
1799
ché
le
povere
monache
per
salvarsi
la
vita
diedero
alla
truppa,
tutto
il
danaro che tenevano serbato per terminare la detta fabbrica.
Il
primo
e
secondo
piano
che
si
trovavano
in
quell'epoca
compiti,
furono
abitabili,
ed
il
terzo
restò
incompleto
come
tuttavia
si
vede.
Giacché
ho
parlato
della
venuta
de’
Francesi,
voglio
dire
qualche
cosa
riguardo
all'accaduto
al
monastero.
Siccome
la
rivoluzione
del
popolo
di
San
Severo
avvenne
alli
10
febbraio
del
1799
così
le
monache
erano
continuamente
costernate
per
tema
che
ad
esse
non
le fosse accaduto qualche cosa di sinistro.
Quando
la
sera
del
23
dello
stesso
anzidetto
mese
di
febbraio
alle
ore
due
italiane,
incominciarono
a
suonare
le
campane
ad
arme,
onde
radunare
il
popolo,
perché
credevano
i
Francesi
prossimi
ad
entrare
nella
Città,
ma
poi
i
cittadini
rassicurati
che
la
notizia
recata
era
stata
un
falso
allarme,
ciascuno
si
ritirò
al
proprio
domicilio.
Le
monache
atterrite
ed
afflitte
passarono
1’intiera
notte
in
coro,
pregando
il
Signore
a
liberarle
da
qualunque
disavventura.
Intanto
la
mattina
del
24
allo
spuntare
dell'aurora
di
nuovo
si
fece
sentire
il
suono
delle
campane,
e
si
seppe
con
certezza
che
le
truppe
francesi
si
avvicinavano
alla
Città.
Il
popolo
si
armò
per
andare
a
combattere
con
truppe
ben
agguerrite,
e
come
necessariamente
doveva
accadere,
ne
ebbero
i
paesani
la
peggio.
Chi
rimase
ucciso,
chi
se
ne
fuggì,
e
chi
tornò
in
città
a
mettere
scompiglio.
I
soldati
vincitori
entrarono
nella
città
furibondi
per
l’imprudenza
di
quei
pochi
stolti
che
li
andarono
incontro
per
danneggiarli,
fecero
tre
ore
di
fuoco
su
de’
poveri
cittadini,
e
diedero
il
sacco
al
paese.
Le
monache
stavano
ben
chiuse.
ed
avevano
fatto
anche
abbarrarre
la
porteria,
ed
il
Parlatorio,
ritirate
neI
coro
che
corrisponde
nella
chiesa,
tutte
unite,
pregando
il
Signore,
attendevano
la
morte.
Quando
udirono
che
i
soldati
già
avevano
atterrate
le
porte
che
custodivano
la
clausura, ed erano entrati nei monastero.
All'aspetto
di
costoro
non
è
possibile
dire
il
pianto
ed
il
terrore
delle
monache.
Qualcuna
dopo
essersi
un
poco
rinfrancata,
prese
coraggio,
interrogando
i
soldati
cosa
volessero.
Allora
un
Uffiziale,
buono
davvero,
pieno
di
cortesia
disse
che
avessero
adescati
i
soldati
con
oro
ed
argento,
affine
di
non
essere
insultate.
Le
misere
religiose
abbandonate
da
tutti,
e
solo
in
balia
di
questi
sfrenati
soldati,
presero
quattromila
ducati
in
moneta,
tutte
le
fedi
di
credito,
e
le
argenterie
che
avevano,
e
li
consegnarono
alla
truppa,
ma
non
furono
contenti
di
tutto
questo,
vollero
anche
le
argenterie
della
chiesa,
che
allora
era
moltissima;
eccettuati
due
calici,
che
il
suddetto
buon
Uffiziale
fece
nascondere
uniti
ad
altri
mille
ducati,
che
le
monache
anche
volevano
dare.
Le
argenterie
della
chiesa
non
si
fecero
mai
più.
Si
presero
oltre
i
soldi
di
quello
che
ho
descritto,
quanto
altro
di
buon
trovarono
delle
monache,
e
della
comunità,
in
fine
saccheggiarono
tutto
a
loro
piacere
ma
per
grazia
di
Dio
nessuna
monaca
fu oltraggiata.
IL MONASTERO DI SAN LORENZO
Manoscritto della suora benedettina
Donna Filomena de Ambrosio