sanseveropuntoit, 21 febbraio 2025
IL CD-ROM
“SAN SEVERO 2000”
Or
questo
Malaspina,
nobile,
dotto,
ricco
e
di
molto
maneggio
anche
in
Roma,
è stato il fondatore del Monastero e della clausura.
Nessun altro vi ebbe cura né parte.
Non
la
città
di
San
Severo,
perché
non
vi
spese
niente,
né
poteva
se
lo
avesse
voluto,
essendo
che
non
aveva
mezzi,
mentre
poco
prima
si
era
venduta
per
i
debiti al duca di Torremaggiore.
Non
i
Vescovi
antecedenti,
perché
non
ve
ne
erano
mai
stati,
all’infuori
di
Martino de Martinis, come sopra si è detto.
Né
prima
si
potea
essere
persona
atta
a
far
questo,
per
la
ragione
che
la
città
di
San
Severo
prima
dell’erezione
del
Vescovado,
davasi
in
Commenda,
come
si
fa
palese
dalla
Bolla
di
papa
Gregorio
decimoterzo
in
data
de’
nove
marzo
1580,
nella
quale
si
esprime
che
Giacomo,
vescovo
di
Teramo,
ne
fu
l’ultimo
Commendatario,
facendone
rassegna
in
mano
dal
detto
Pontefice,
e
così
poi
ne
seguì l’erezione della Cattedrale di questa nostra Città.
Ora
chi
presumere
vuole
che
un
commendatario,
che
mai
vide
questo
suolo,
residendo
molto
lontano
dal
clima
di
Puglia,
per
essere
la
città
di
Teramo
situata
in
Abruzzo
Ulteriore,
abbia
voluto
imprendere
il
grave
peso
di
eriggere
un
monastero,
quando
in
tali
emergenze
occorrono
molte
cure,
per
scritture,
assistenza ed altro?
Sapendo
benissimo
che
i
commendatari
altro
interesse
non
avevano
che
riscuotere il frutto, e le rendite della loro commenda.
Tanto
più
che
prima
dell’esistente
Monastero,
in
questa
Città
ve
n’erano
stati
altri
due,
uno
sotto
il
titolo
di
S.
Chiara,
non
molto
distante
dalla
Chiesa
di
S.
Giovanni
Battista,
l’altro
sotto
l’invocazione
di
S.
Caterina,
in
parrocchia
di
S.
Nicola
e
siccome
andarono
in
rovina,
la
Chiesa
dell’uno
e
le
poche
rendite
dell’altro
se
le
appropriarono
i
Padri
Conventuali
di
S.
Francesco
che
allora
esistevano, e che poi furono soppressi.
E’
dunque
evidente
che
il
Monastero
non
è
stato
eretto,
quando
governavano
i
commendatari,
come
da
molti
si
crede,
poiché
se
quelli
non
ebbero
cura
a
mantenere
almeno
uno
delli
due
antecedentemente
eretti,
e
che
poi
andarono
successivamente
in
rovina
uno
dopo
l’altro,
come
mai
può
idearsi
impegnati
i
suddetti commendatari ad eriggere questo terzo esistente Monastero?
A
compimento
della
presente
assertiva
riesce
ben
acconcio
notare
che
sebbene
molti
anni
prima
dell’erezione
di
questo
Vescovado,
l’attuale
casa
religiosa
diceasi
Monastero,
e
le
donne
che
vi
dimoravano
denominavansi
monache,
e
la
superiore
per
onore
appellavansi
badessa,
come
si
rileva
da
tre
strumenti
prodotti
in
Napoli
da’
Reggimentali
di
questa
Città
nell’anno
1764,
tempo
in
cui
li
medesimi
pretendere
volevano
la
laicità
di
questo
luogo
pio,
che
affatto
non
poterono
ottenere,
restando
come
sempre
era
stato
sotto
la
giurisdizione
dell’ordinario prelato.
Resta
dunque
perfettamente
stabilito,
che
sotto
il
vescovado
di
Malaspina
l’esistente
casa
religiosa
ebbe
la
sua
origine
di
vero
Monastero,
e
le
abitatrici
del
luogo
la
vera
denominazione
di
monache.
Le
dodici
persone
che
Monsignore
trovò
riunite
in
questo
luogo
“numero
prefisso
dalle
leggi
per
la
fondazione
di
un
Monastero”
si
ebbero
da
lui
l’abito
di
S.
Benedetto,
ed
a
norma
del
loro
vivere
religioso,
la
Regola
dello
stesso
S.
Patriarca,
e
nello
stesso tempo mise anche al Monastero la clausura papale.
E
perché
i
precetti
della
regolare
osservanza
fossero
esattamente
adempiti,
fece
venire
dalla
Toscana
tre
signore
monache
coriste,
ed
una
suora
conversa,
perché
con
la
santità
della
loro
vita,
avessero
dirette
le
novelle
religiose
alla
perfezione
della vita monastica.
Queste
religiose
toscane
recarono
dal
monastero
dove
dimoravano
la
reliquia
di
una
Spina
della
corona
di
Nostro
Signore
Gesù
Cristo.
Reliquia
che
tuttavia
da noi si conserva con somma venerazione.
Il
Vescovo
fondatore
donò
un’altra
reliquia,
consistente
in
un
osso
dl
dito
del
martire
S.
Lorenzo
“che
al
presente
anche
esiste”,
coll’intento
di
costruire
una
nuova
chiesa
più
decente
e
spaziosa,
sotto
l’invocazione
di
detto
martire
S.
Lorenzo,
di
cui
egli
era
devotissimo,
e
darne
anche
il
nome
al
Monastero;
desiderio che non poté per allora effettuare per ragioni che dirò in prosieguo.
Mise
un
Procuratore
ecclesiastico
per
cura
dell’amministrazione,
pregò
il
Municipio perché avesse fatto buon viso alla novella casa religiosa.
Cose
maggiori
avrebbe
fatto
a
prò
del
Monastero,
ma
non
poté
più
interessarsene
personalmente
per
essere
stato
onorato
dalla
S.
Sede
della
carica
di Nunzio Apostolico in Napoli, e poi con la Nunziatura nell’Elvezia.
Però
mandò
in
sua
vece
come
Vicario
Generale,
il
dottissimo
can.co
D.
Pietro
Paolo
Serragli,
il
quale
disimpegnò
la
sua
carica
con
straordinaria
solerzia,
e
vedendo
che
il
novello
monastero
“il
progresso
del
quale
li
fu
caldamente
raccomandato
dal
Malaspina”
si
trovava
in
miserabilissime
condizione
specialmente
finanziaria,
propose
a’
capitolari,
ed
a’
partecipanti
delle
tre
parrocchie,
che
di
tutte
l’elemosine
che
percepivano
in
ogni
settimana,
ne
avessero
date
la
quarta
parte
alle
religiose
per
la
loro
sussistenza,
il
che
fu
conchiuso
nel
1691,
tra
i
Capitolari,
arcipreti,
e
partecipanti.
Lo
stesso
Vicario
provvide
le
monache
di
confessore,
destinandosi
il
canonico
penitenziere
della
cattedrale,
il
quale
era
esentato
dalla
puntatura,
ogni
qual
volta
veniva
a
confessare
la
comunità.
Ed
oltre
a
questo
destinò
altri
due
canonici
per
la
celebrazione
della
S.
Messa
nella
domenica,
e
nel
Venerdì,
poi
ordinò
che
le
tre
parrocchie
avessero
mandato
a
loro
piacimento
un
partecipante,
affine
di
celebrare
negli
altri
cinque
giorni
della
settimana,
per
comodo
e
devozione
delle
religiose,
il
tutto
già
si
faceva
gratis.
Il
suddetto
Vicario
non
solo
soccorse
sempre
abbondevolmente
del
suo
alle
povere
religiose,
ma
deliberò
coll’andare
del
tempo
di
fabbricare
una
chiesa
più
che
decente,
e
meglio
adatta
per
comodo
alle monache.
L’annua
rendita
delle
religiose
in
altro
non
consisteva
che
in
ducati
centoquaranta.
Le
fabbriche
erano
un
solo
dormitorio
ristretto
in
un
soprano,
colli
sottani
corrispondenti,
un
cortile
col
recinto
di
mediocre
capacità,
che
poi
fu
nomato
l’orto
vecchio,
ed
in
una
chiesetta
sotto
l’invocazione
di
S.
Maria
Maddalena,
come
ho
detto
di
sopra,
e
finalmente
in
altre
anguste
stanzette
che
formavano
la
portiera,
ed
il
parlatoio.
La
rendita
di
ducati
centoquaranta
ha
potuto
provenire
dalle
doti
delle
abitatrici
del
luogo,
delle
quali
doti
buona
parte
hanno
potuto
spendersi
in
compera
delle
enunciate
fabbriche
per
unirle
a
quelle
poche
stanze
che
avevano,
e
per
le
necessarie
riparazioni
di
esse,
ed
il
dappiù
rimasto
si
è
impiegato
in
annue
rendite,
che
hanno
formato
la
enunciata
somma.
Se
dunque
prima
del
divisato
tempo
avesse
avuto
origine
il
Monastero,
più
rendite certamente si sarebbero trovate.
IL MONASTERO DI SAN LORENZO
Manoscritto della suora benedettina
Donna Filomena de Ambrosio
La musica del sito