Quando, ai primi di dicembre, per due giorni non rispose ai miei tentativi di contatto, richiamò, visto che dovevo già pietirne l’attenzione, cominciò a sorgermi il dubbio sulla idoneità della moglie del mio amico Giovanni ad assolvere al compito che intendevo affidarle. Fu per questo che mi venne in mente di tornare a rivolgermi all’avvocato di Foggia. Ecco! Telefonargli in via amichevole… E così ho fatto il sei di dicembre. “Pronto, avvocato? Sono Macchiarola.” E lui, subito: «Ah! Mi dica, Macchiarola» “Volevo chiederle di individuare quando potrà avere cinque, dieci minuti del suo tempo, per poter consentirmi di avere con lei una conversazione amicevole. Sia chiaro che glielo chiedo al di del rapporto che ci ha legato in questi anni, ma solo per sfogare la pressione alla quale sono sottoposto in questi ultimi giorni” «Mi dica.» dice lui «E’ questo il momento!» Resto perplesso, impreparato ma… “Bene, la ringrazio allora. Volevo dirle che sto trascorrendo un periodo di particolare affanno dopo che ho ritenuto di rivolgermi…” «Sì» mi interrompe lui «Mi ha accennato, e attendevo un contatto dalla collega…» “Il fatto è che l’avvocato che ho interpellato (moglie del mio amico Giovanni!) non mi assicurazioni circa la sua volontà di intraprendere un ricorso in quanto è convinta… ma la cosa più grave è che non ritengo che abbia inteso la mia situazione… questo per differenze filosofiche, direi… mancanza di condivisione dei presupposti… e, tra l’altro, dopo aver scoperto che è un acquario... Allora, dopo aver pensato di inviarle solo alcuni appunti per convincerla della bontà delle obiezioni opponibili alla sentenza di appello, ho deciso di continuare, piuttosto, nella estensione di queste note pensando che in caso di suo rifiuto avrei potuto rivolgermi ad un altro avvocato perché, dopo un più opportuno confezionamento le rendesse presentabili in un ricorso all’Alta Corte”. Fu a questo punto che il mio telefono andò in tilt e si spense. Mezz’ora ad attendere che la batteria si riabilitasse e desse segni di vita. Quando riuscii a ristabilire la conversazione e con qualche fatica provai a ricomporre quanto avevo premesso per adombrare alla fine la mia richiesta, dovetti subire il tono indispettito e alquanto risentito dell’avvocato che sbottò a dire: «Lei, quindi, pretende che io, che non ho ravvisato motivi di ricorso nella sentenza di appello, mi legga quanto scritto da lei per convincermi di aver sbagliato e quindi procedere alla presentazione della opposizione per Cassazione…!» Ed io, pacifico, ho risposto: “Avvocato, ma perché vuole metterla come un contenzioso! Io non voglio fare una discussione; volevo parlare solo amichevolmente. Le ho già detto, quando mi ha comunicato che non voleva saperne di continuare, che ero persino sollevato dal fatto di poter chiudere finalmente una faccenda che tanta apprensione mi aveva creato, e metterci la parola fine. Quindi io non pretendo alcunché in quanto ho già accettato il suo punto di vita. Le dico solo che, «popperaniamente» parlando, rispetto ad una affermazione di non procedibilità per Cassazione io avrei diritto a rappresentare una diversa opinione che, per quanto detto, sono disposto a sottoporle indipendentemente dal processo, come se questo fosse già concluso o fossero scaduti i termini prescritti”. «Ah, se è così mi mandi pure quello che ha scritto e che mi riservo di leggere. Sappia comunque che per impostare un ricorso io dovrei poi trasdurre le sue osservazioni in motivi di ricorso e non è una cosa facile.» “Ma io, avvocato ho fatto proprio questa operazione”. «Ma lei non si rende conto che anche gli avvocati di mestiere nello scrivere ricorsi per Cassazione…! Pensi che quando una volta ho chiesto a un collega di approntare un ricorso questo, alla fine, mi ha detto: avvocato, e mica sono un cassazionista!» E io: a dirgli: “Non mi prenda per presuntuoso ma credo di aver impostato i motivi di ricorso dopo averli appunto “trasdotti” nella forma prevista dall’art 640…» per fargli capire che sapevo anche dare i numeri! Ma lui, niente, a continuare… «…e poi si tratta di presentare il ricorso a Roma, fare le copie, fare la comunicazione…» Ma io, pur sapendo, per la mia esperienza precedente, che non era così complicato come lui sosteneva, non risposi su questo. “Ma avvocato queste sarebbero incombenze del tutto eventuali qualora si volesse continuare nel procedimento. Io invece le sto dicendo che le mando quanto ho scritto indipendentemente da ciò”. «Bene, allora me le mandi» mi fa lui «Io le leggerò lunedì!» “Eh, no, avvocato! Lei deve leggerle oggi, giovedì, perché lunedì sarebbe tardi, visti i tempi brevi per la presentazione…” «Allora lei insiste! Le ho detto…» “Avvocato è lei che ha detto poco prima che i tempi sono brevi mentre io non intendevo…” «Va bene. Me le mandi. Poi le farò sapere.». “Io gliele mando adesso, se vuole. Lei si legge solo le prime righe. Se valuta che siano già bastevoli per confermare il suo giudizio negativo, la sua indisponibilità o la stupidità di quanto da me scritto, lei non deve andare oltre. Mi risponde anche con un messaggio, NO, ed io accetterò senza sindacarlo il suo giudizio.” «Quindi non mi chiederà il perché, le ragioni…?» “Ma certo, avvocato. Nessuna obiezione, domanda, o dubbio.” «Va bene me la mandi» “Gliela mando tra poco, solo il tempo di aggiustarla!” E così, di lena, di nuovo al lavoro, a rileggere, aggiungere, correggere, aggiustare, confrontare sentenza, formattare il testo per cui potrai condividere, mio caro e ultimo stanco lettore, la mia sorpresa per la telefonata pervenutami nel pieno di questo lavoro, verso le diciassette e trenta, e comprendere la mia gioia nello scoprire che era l’avvocato a dirmi al telefono: «Macchiarola, qui non mi è pervenuto niente!» Come il mio lettore potrà comprendere, lo ringraziai di quella telefonata fino a metterlo in imbarazzo sottolineando con quel gesto la sua premurosa attenzione; e ancora di più lo feci quando mi informò che non avrebbe più aperto la posta quella sera e che mi avrebbe letto solo il giorno dopo, in quanto in tale modo mi dava più tempo per migliorare il testo da inviargli. All’alba del nuovo giorno, dopo ulteriori correzioni e aggiustamenti, gli inviai il frutto del mio lavoro con una lettera di accompagnamento dove esprimevo tutta la mia stanchezza per quella immensa impresa a cui mi ero sottoposto per tanti giorni e dove annotavo la vanesia decisione di volgere il tutto in una commedia a cui sarebbe stato certamente più piacevole attendere e al qual fine avevo preso delle note, ora servite per dar voce al dialogo con i miei avvocati. Inviai, fatto pieno giorno, lo stesso brogliaccio da servire per il ricorso in Cassazione anche alla moglie del mio amico Giovanni. Mancavano solo giorni, ormai, per la scadenza dei termini del ricorso e solo un miracolo, una conversione sulla via di Damasco dell’avvocato di Foggia, avrebbe potuto ancora tracciare un sentiero da percorrere…
Di nuovo l’avvocato di Foggia
sanseveropuntoit, 6 Aprile 2018
Capitolo settimo
Giovannantonio@aruba.it
Giovannantonio Macchiarola