sanseveropuntoit, 10 maggio 2017
Dovrò confidare a questo punto, miei cari cinque lettori, se ancora vorrete continuare in questa lettura, solo sulla vostra pazienza o sulla vostra curiosità di conoscere i particolari di questa vicenda in quanto, per potervene dar pienamente conto e volendo evitare che possiate ritenere che il mio resoconto sia parziale o tendenzioso, sono costretto a far ricorso alla documentazione sempre più corposa che testimonia l’aberrante violenza di cui sono stato vittima con il rischio di tediarvi o di spingervi all’abbandono. Vi dicevo, comunque, che dopo la dimissione anticipata dal mio ricovero coatto non vivevo alcuna particolare apprensione. Mi attenni, tuttavia, al consiglio datomi dal primario del reparto all’atto delle dimissioni, di rivolgermi ad uno psicologo che mi aiutasse a superare l’impatto della violenza alla quale ero stato sottoposto come pure ne accettai il consiglio di non tornare in servizio ma di starmene lontano dal Comune per qualche tempo approfittando del rilascio di un certificato di 30 giorni di assenza per motivi di salute. Nemmeno la notizia che avevano cambiato la serratura della porta del mio Ufficio mi aveva preoccupato, convinto che avrei risolto tutto al mio rientro. L’unica agitazione mi derivava dal dover affrontare la redazione di una puntuale denuncia dei reati commessi contro la mia persona per avviare una azione giudiziaria contro quelli che se n’erano fatti promotori; denuncia che in quel momento non mi era semplice stilare per la complessità delle ragioni che erano a monte di quella azione delinquenziale e che, in qualche modo, ne erano la causa. Non potei, tuttavia, resistere alla tentazione di farmi rivedere sul Comune e dopo una settimana, esattamente il 18 di giugno, come ricavo dalla documentazione, venivo accolto festosamente da alcuni colleghi degli uffici centrali. Fu in quella occasione che, passato a salutare le colleghe dell’Ufficio di Segreteria ebbi modo di rimproverare la Elena Colio per essersi resa complice del misfatto affermando, in risposta ai suoi tentativi di giustificazione, che lei era stata usata per intrappolarmi come lo era stato «il cavallo» per la città di Troia, aggiungendo: «… e visto che ti chiami Elena e non sei un cavallo di legno, possiamo ben chiamarti Elena di Troia! »
Capitolo Sesto I volenterosi carnefici - parte seconda
E come quei che con lena affannata, uscito fuor dal pelago alla riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata, così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. (Dante, Inferno, canto I, vv.22-27)