Il primo giorno che Ciro si insediò nel mio ufficio, della qual cosa lui si onorava facendomi merito di averlo individuato per porlo in un ruolo e in un ufficio certamente più prestigioso di quello occupato prima, dopo avergli dato conto di cosa facevo e dei compiti da svolgere aggiunsi: “Impara tutto e subito, così appena imparerai mi faranno fuori!” La sua risposta conteneva nel suo formalismo già tutta la sua ipocrisia perché rispose: “Se mai dovessi essere io la causa o solo l’occasione che potrebbero dar luogo a farti fuori, rifiuto questo trasferimento e voglio tornare subito nel mio precedente Ufficio”. Chiaramente non furono queste le esatte parole, in realtà più formali e forbite di quanto io possa ricordarle ora, per le quali mi illusi di aver trovato, se non un adepto, almeno un amico. Aggiungo, prima di tornare a Vittorio, che in più di una occasione, nella richiesta di partecipare a corsi di informatica che richiesi da allora, ho sempre preteso e ottenuto che ne fosse assicurata la frequenza anche a lui con autorizzazione alla missione, per cui in questi viaggi ci fu modo di affinare la nostra conoscenza e, per come la vedevo, la nostra colleganza e amicizia. Aggiungo, ancora che, mentre io rappresentavo la UIL, lui era un iscritto e componente del direttivo sindacale della Cisl, per cui si aveva occasione di frequentarci anche nelle riunioni sindacali di categoria. A seguito, dunque, della liquidazione per quell’anno del salario accessorio ai dipendenti, venni a conoscenza che di tali emolumenti avevano indebitamente usufruito anche Vittorio Mundi e l’architetto Pasquale Mininno. La cosa era del tutto fuori luogo in quanto i dirigenti ne erano dichiaratamente esclusi dal Contratto di categoria per cui indissi una riunione tra le tre sigle sindacali e decidemmo unanimemente di opporci a quella indebita liquidazione. Come al solito, mi presi il carico di stilare la lettera di protesta da inviare, al momento, alla Prefettura con la richiesta di restituzione delle somme inopinatamente percepite dai due dirigenti. Nello stilare quella lettera, ben consapevole dell’importanza della situazione che si andava a denunciare, feci più volte finta di non trovare i termini giusti per dire questa o quella cosa così da suscitare, con suggerimenti e consigli, la partecipazione degli astanti, tra i quali, per l’appunto, Ciro Pistillo, e dopo la stesura pretesi che quella lettera di denuncia fosse firmata da tutte le persone presenti alla riunione, a conferma e sostegno della decisione assunta. Non posso riportare l’ira di Vittorio per quella missiva. Mi tutelava in un qualche modo il fatto che fosse intestata con le tre sigle sindacali e recasse, oltre alla mia, la firma di più persone ma il fatto che io lavorassi in Segreteria alle sue dirette dipendenze bastava a rappresentare ai suoi occhi la mia più eclatante colpa. Al Prefetto! Alla Prefettura! Era un’onta che per la mentalità di Vittorio non era accettabile in alcun modo e il fatto che prima di quella riunione io gli avessi fatto personalmente presente la sua colpa, mi faceva individuare, se non come l’unico e vero promotore di quella missiva, tra i responsabili di quella azione in prima fila.
Capitolo QUINTO L’ATTIVITà SINDACALE
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