Non conservo alcuna documentazione della mia permanenza nell’Ufficio di Segreteria. Non sono quindi in grado di precisare esattamente il giorno in cui, all’inizio del mese di gennaio del 1993, trovandomi nel suo Ufficio, Vittorio Mundi mi chiese se ero disposto ad accettare di essere trasferito in Segreteria. Se non ho modo di indicare la data esatta, conservo, comunque, un preciso ricordo di quella conversazione e della mia risposta con la quale feci presente la necessità che la mia assegnazione fosse disposta con un apposito ordine di servizio alla qual cosa Vittorio, nella sua convinzione che tale formalità non avesse alcuna significanza reale, aderì senza battere ciglio. Poi, mentre mi accingevo ad uscire dalla sua stanza, ormai vicino alla porta, mi chiese: “Ma tu sarai disposto a essere a mia disposizione e a fare tutto quello che io ti chiederò di fare?” Rimasi un attimo interdetto sulla risposta da dargli e, trattenendomi da una replica negativa a quella domanda, risposi: “Vitto’, se tu mi chiedi, per esempio, di aprire una finestra o di accendere la luce in una stanza o ed io sono vicino all’interruttore, non avrò alcuna difficoltà ad eseguire quanto mi chiedi. Ma se fossi tu più vicino alla finestra o all’interruttore, ti direi…” “Va bene! Va bene” mi interruppe. “Vedremo quanto tempo durerà… e come andremo a finire!” Sebbene ricordi bene la situazione e con sicurezza la mia risposta, che ritenevo fosse il più alto grado della mia diplomazia, non saprei attestare esattamente le parole con cui mi rispose, se non per il rimando a una ipotesi futura e alla sua pazienza nei miei confronti. Quello stesso giorno gli presentai l’ordine di servizio con il quale, in virtù della qualifica di Programmatore CED, mi investivo del compito di approntare una relazione sul sistema informativo dell’Ufficio di Segreteria con la finalità di pervenire alla gestione informatica delle deliberazioni di Giunta su cui, a significare lo scarso valore che gli attribuiva, Vittorio appose la firma senza neppure leggerlo. Non ho mai compreso se quel trasferimento fosse motivato dalla volontà di proteggermi o, se non di rendermi inoffensivo, di tenermi sotto controllo a meno di ritenere che ci fosse l’esigenza di Antonio Carafa, con il quale i rapporti erano del tutto logori, di liberarsi di me. Non ci volle, comunque, molto tempo per rendermi conto che l’incarico che mi ero affidato non avrebbe avuto alcuna possibilità di realizzarsi.
Capitolo QUINTO IL TRASFERIMENTO IN SEGRETERIA
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