sanseveropuntoit, 21 febbraio 2025
IL CD-ROM
“SAN SEVERO 2000”
LA DIOCESI
L’amministrazione del Monte Frumentario Poiché nessuna istituzione, per quanto utile, può sopravvivere prescindendo da una sana amministrazione o senza un ben articolato ordinamento interno, non fa meraviglia che lo “Statuto” si attardi così tanto sugli aspetti amministrativi e procedurali, tra cui quelli attinenti alla gestione dei pegni creditizi. Approfondimento Secondo questi ordinamenti statutari, la solvibilità del credito accesso da un prelievo di grano doveva essere garantita dal deposito di un pegno che superasse di 113 il valore del debito contratto. Passato che fosse il mese di luglio, il debitore aveva otto giorni appena per redimere il pegno, che, dopo tale termine, veniva messo all’incanto senza ulteriore avviso. Queste clausole, alla pari del tasso di sconto, appaiono comunque esorbitanti, ancor più se si consideri che la loro ricaduta veniva ad esercitarsi su una classe sociale, quella dei piccoli e medi coltivatori diretti, che languiva nella più nera indigenza. In verità, Adeodato    Summantico non esagerava definendo “notevoli miserie” le ristrettezze economiche che attanagliavano San Severo. Nel 1719 la distribuzione di grano venne effettuata una sola volta “a riflesso delle notabilissime miserie di questa povera Città”. Sempre in quell’anno, i Governatori dei Monte lamentano il mancato recupero dei prestiti concessi “per la scarsezza della raccolta”; danno che non fu possibile attutire con la vendita all’incanto dei pegni in quanto pure le aste andarono deserte. Durante gli anni immediatamente successivi all'erezione del Monte, sul libro mastro di questo venivano annotati con grande diligenza non soltanto i nomi dei creditori, la quantità ed il valore del grano da essi ricevuto, ma anche la qualità ed il valore del pegno consegnato. Approfondimento Solo accanto al nome degli ecclesiastici (o dei loro raccomandati) non compare il corrispettivo pegno, in quanto soltanto ad essi è concesso di garantire, per e per altri, per fideiussione, cioè firmando un semplice “biglietto” (come viene indicata la loro dichiarazione scritta). Con il passare del tempo, però, le registrazioni diventano sempre più laconiche, e questo nonostante i continui richiami di Adeodato Summantico , il quale, nel 1733, finisce col respingere il bilancio dell'anno finanziario 1732-33, perché “... in quanto alla sostanza per le cose riferite bene, in quanto poi alla formalità della scrittura conoscesi molto deficiente ...”. Approfondimento Oltre ai danni accusati per la perdita dei “biglietti”, per i pegni rimasti invenduti o di valore non confacente, si aggiunga quello subìto “per li pegni rubbati da’ Francesi nel 1799”. I Governatori (o Montisti) dei Monte Frumentario erano nominati uno dal Capitolo, l’altro dal Vescovo pro tempore. Il loro mandato durava un anno, ma erano rieleggibili. Ad essi veniva corrisposta una mercede aleatoria, legata allo “aumento naturale” del grano, aumento di cui non ci è stato dato di sapere come fosso computato. Approfondimento Ci sembra legittimo supporre che tale “aumento” dovesse corrispondere a quel che nei bilanci passa sotto la voce “Aumento del capitale”, dove per capitale s’intende la quantità reale di grano in possesso del Monte e non quello da esigersi; ma, in tal caso, si vedrebbe come gli emolumenti corrisposti ai Governatori avessero una ben misera consistenza. L’aumento annuo cui ci riferiamo risulta, infatti, in media di 50 tomoli (22 ql.ca.), quantità che doveva essere ripartita equamente tra i due Montisti. Provvedimenti severissimi erano presi contro quei Governatori che fossero stati “ritrovati debbitori, o in altra parte mancanti”, i quali erano giudicati per direttissima e senza possibilità di appello dalla Corte Vescovile, che aveva facoltà di comminare pene pecuniarie o di carcerare gli ecclesiastici, oltre ad infliggere sanzioni canoniche. Queste clausole dello Statuto non resteranno lettera morta, ma saranno applicate con tale tetragona ostinazione da sconfinare a volte in mera persecuzione. Approfondimento E’ il caso del Governatore Can. Tommaso La Mola, riconosciuto colpevole dell’ammanco di 1653 tomoli di grano verificatosi tra il 1768 ed il 1774, anni della sua gestione. Non è che La Mola avesse lucrato sul Monte, ma tutta la sua colpa risiedeva nel non aver saputo o potuto riscuotere il grano prestato. Venuto a morte questo canonico lo stesso anno della sua condanna, il Capitolo intese rivalersi sul fratello di questi, costringendolo a restituire ben 1722 tomoli di grano, perché non solo non si ebbe comprensione per le difficoltà di costui, ma non si volle transigere neppure sugli interessi già maturati, su quelli che sarebbero maturati nei quattro anni successivi, arco di tempo concessogli per estinguere compiutamente il debito. Più fortunato, invece, è stato il Governatore D. Luca Fania, condannato a versare, nel 1735, insieme all’altro Governatore di quell'anno, 102 tomoli circa di grano. Il Fania, approfittando della vacanza vescovile, per trapasso del Summantico, fa riesaminare i conti dal Vicario Capitolare, evidentemente suo amico, che riduce a 20 i tomoli da consegnare. Sul margine inferiore del foglio che riporta la sentenza del Vicario, una mano ignota ha annotato con ironia: “Osservasi però la ridicula giudicatura nel processo nella sede vacante”. I casi di La Mola e di Fania non sono sporadici, ma rientrano in una strana prassi, per la qual cosa è lecito opinare che una ignota, ma ben potente lusinga, dovesse attrarre i canonici verso un ufficio tanto poco remunerativo e tanto pericoloso! Con spirito profetico, Adeodato Summantico volle che la natura esclusivamente ecclesiastica della sua Istituzione fosse di una trasparenza inoppugnabile. Eppure, nonostante tutte le cautele prese, le contestazioni non mancarono. Approfondimento Nel 1757, infatti, alcuni malcontenti amici di novità intentarono causa contro il Capitolo presso la Suprema Corte di Napoli, in quanto sostenevano essere il Monte di natura laicale, per cui, per onestamente difendersi dalle indoverose vessazioni ”, il Capitolo fu costretto a dimostrare, documenti alla mano, quel che era a tutti noto. La sentenza diede ragione al Capitolo, ma sdegnò ulteriormente quei “malcontenti”, decisi a non demordere. La vertenza, infatti, si riaccese con maggiore veemenza nel 1793, ma Ferdinando   IV   di   Borbone confermò quel ch'era già stato stabilito, nel 1757, da suo padre, il re Carlo   III   di Borbone che “f u risoluto di essere di qualità e natura Ecclesiastica il Monte Frumentario di codesta Città di san Severo ”. Nel 1810, il Monte Frumentario, che ha avuto sempre la sventura di far gola a Laici di questo Comune ”, passa in mano alle Opere di Beneficenza. Il Vescovo ed il Capitolo non lasceranno nulla di intentato per riaverlo; ma tutto risulterà vano. A partire dal 1866, “il Monte Frumentario è amministrato dal sindaco e da due amministratori e questi ultimi sono preposti dal municipio e nominati dal prefetto in consiglio di prefettura per la durata di un anno”. Con Real Decreto del 12 gennaio 1879, i Monti Frumentari divengono Casse di Prestanza Agraria, amministrato da un Direttore Presidente e da quattro membri, tutti solidamente ed in nome proprio ”.
IL MONTE FRUMENTARIO