Lufficiochenoncè UN AIUTO ESTERNO La mia argomentata risposta del 6 luglio all’ordine di servizio del 4 luglio, con la quale si disponeva il mio trasferimento presso il Comando Vigili, non ebbe un riscontro altrettanto argomentato, limitandosi la Dirigente Belmonte alla ripetizione di quello precedente con l’aggiunta della minaccia di provvedimenti di legge e la firma, a supporto, del Balice. Vi si aggiungeva la diffida a utilizzare “carta intestata dell’Ente”. Non me ne detti alcuna cura. Dovevo solo aspettare che Fingo raccogliesse tutti gli elementi necessari per mandare in galera quei delinquenti e, in ogni caso, ero in malattia e mai avrei accettato di subire quel trasferimento come, in effetti, mai feci. Dovevo continuare a stare in malattia e avevo ancora da godere del mio congedo ordinario. Un non richiesto e insperato aiuto mi venne da Tonino D’Angelo, il dottore che già in precedenza ho avuto modo di citare. Non ricordo i particolari di quell’incontro in cui ebbe occasione di avvicinarmi dimostrando che era a conoscenza del fattaccio che lui, in quel momento, definì come un chiaro caso di mobbing. Conoscevo quel termine ma per quanto non mi fosse, allora, del tutto chiaro l’ambito che individuava, sapevo che era attribuibile ad una azione persecutoria sul posto di lavoro che dava origine in chi n’era colpito ad una sintomatologia depressiva capace di lederlo a tal punto da non escludere l’insorgere di altre malattie psico-somatiche e, addirittura, il suicidio. Gli feci, pertanto, presente che non era questo il mio caso in quanto, essendo stato del tutto reattivo alla azione criminale subita, non rientravo in quel caso Per quanto non restasse convinto del mio escludermi da quella patologia, si offrì di aiutarmi nella sua qualità di Presidente di Medicina Democratica. Fui del tutto lieto della sua disponibilità e gli fornii ogni altra notizia che potesse essergli utile a sostegno del suo intervento. Era importante per me che si allargasse la conoscenza del crimine commesso e che si creasse a mio favore un’area di solidarietà attorno al caso e, in contraltare, il pubblico disdegno pesasse nei confronti di chi lo aveva perpetrato. Di fatto, l’unica reazione di cui ebbi conoscenza fu quella di mia moglie, per il fastidio che aveva provato a causa della invasione nella sua vita privata prodotta da quel documento. Avevo potuto riavvicinarla adducendo la pretesa del dottor Mariano Loiacono che per frequentare il suo Centro dovevo essere accompagnato e il suo disappunto per quella comunicazione di Tonino D’Angelo mi faceva correre il rischio che lei potesse rifiutarsene. Per rabbonirla, le dissi che avrebbe potuto rispondere a suo modo a quel comunicato. Lei mi rispose: “Non sei tu lo ‘scrittore’ di famiglia?” e… io mi adeguai.
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