sanseveropuntoit, 21 febbraio 2025
IL CD-ROM
“SAN SEVERO 2000”
Il convento di San Francesco venne soppresso con il decreto del 7 agosto 1809. Il 12 settembre di quell’anno il sindaco interino Raffaele Buttazzi, unitamente ai decurioni dottori fisici Antonio Gervasio e Giuseppe de Lucretiis, al signor Vincenzo Faralla « uno de' principali proprietari di S. Severo » e al ricevitore della registratura e dei demani Nicola Santoro, si recò nel monastero e, alla presenza del padre guardiano e dei frati, raccolse nella cappella «l a cassa dell’argenteria, la cassa del contante de' capitali affrancati, i libri ed i titoli del possesso de’ dritti e delle obbligazioni e le altre carte riguardanti l’amministrazione del convento e in ultimo li sacri arredi che stavano conservati nella sacrestia» . Approfondimento La porta della cappella venne poi chiusa « con chiave e catenaccio ed alla bocca del catenaccio si è posto un pezzo di carta con due suggelli a cera di Spagna ». Furono anche chiuse e sigillate la porta di un sottano, che usciva sotto gli archi del cortile, destinato alla conservazione dell’olio e di altri oggetti, le porte che davano accesso alla cantina e alla grotta sotto il convento dove erano conservate le botti e, in ultimo, la porta che immetteva al campanile. Tutte le chiavi furono consegnate al signor Vincenzo Faralla fu Benedetto, incaricato della custodia. Il giorno seguente ai frati presenti nel convento, sette sacerdoti e due laici, furono assegnati « per la vivenza » fino al ottobre successivo otto ducati ciascuno ai sacerdoti e quattro ciascuno ai conversi per un totale di ducati 64, anticipati dal ricevitore dei demani e della registratura Nicola Santoro che si riservò, ovviamente, di riprenderli dalla cassa del convento « appena levati li suggelli ». Il 14 settembre vennero compilati gli inventari di rito. Approfondimento Nel convento non c'era archivio, biblioteca, ma numerosi quadri: dieci ovali con cornici, sistemati sopra le porte delle stanze dei frati e raffiguranti santi diversi e altri ventotto di diversa grandezza affissi nella chiesa. Nell’inventario « di tutti i titoli, scritture, libri di conti ed altre carte relative alle proprietà e Rendite ed agli obblighi e pesi del convento » c'è la dettagliata descrizione di una platea di 237 fogli. Nella « Cassa de’ Capitoli » vennero rinvenuti in contante ed in monete d’argento ducati 214,44 che furono versati nella cassa dei demani e fedi di credito di diverse banche che, portate via dai francesi durante il sacco di San Severo del 25 febbraio 1799, erano state restituite dopo tre anni dal confessore don Ludovico Scolmafora che non sappiamo come ne fosse venuto in possesso. Infine, dagli inventari si rileva una precisa descrizione delle campane e un elenco degli oggetti (spremitoi, tini e botti) rinchiusi nella cantina del convento. Tra il 2 e il 3 ottobre 1809 gli incaricati della soppressione interrogarono i religiosi circa le eventuali « frodi » commesse nel convento e tutti d'accordo sostennero che « da qualche anno in qua per la sussistenza non si siano fatte più delle provviste di grano e di altri generi a motivo che si sia vissuto tapinamente per la mancanza delle derrate e che in conseguenza non si sia fatta, si abbia potuto fare vendit’alcuna e molto meno veruna ripartizione fra i religiosi a segno che per la miseria neppure nella canicolare stagione si abbia potuto comprare della neve per uso de’ Religiosi com'è pubblico e notorio a chiunque di questa città. E se c’è stata cosa, non si è omessa nel riscontro della soppressione di questo monastero di manifestarla con la massima lealtà ». Approfondimento Dalla descrizione dei locali del convento emerge che « il monistero è rinchiuso quasi in un quadrato. Due lati sono nuovi li due altri sono quarti diruti, cadenti ed inabitabili ». I frati occupavano al piano superiore due lunghi corridoi con diciotto stanze, la cucina e un refettorio che comprendeva tre stanze, e al piano terra undici sottani e un giardino incolto. Appena il convento fu soppresso, il sindaco Cesare di Lembo lo fece in parte occupare dagli uffici della cancelleria, dello stato civile, dell’agente ripartitore dei Demani e del Decurionato, ma col decreto del 20 novembre 1809 Gioacchino    Murat    stabilì che l’edifìcio accogliesse l’orfanotrofio cittadino e impose al sindaco e al decurionato di procurare i « mezzi per la riattazione e la riduzione del convento all’uso di orfanotrofio ». Approfondimento L'orfanotrofio era stato istituito nel 1803 dal Vescovo Giovanni   Gaetano   del   Muscio . Inizialmente erano diciotto le «povere donzelle» riunite in un locale fatiscente dell’ospedale, vestite di celeste e mantenute, grazie alle cure del canonico Francesco Lacci, con offerte dello stesso Vescovo e dei proprietari di San Severo. Il decurionato nella riunione del 4 dicembre 1809, date le precarie condizioni economiche del comune, deliberò di contribuire alle spese con soli ducati trenta e nominò una commissione formata da quattro « gentiluomini » e dai quattro parroci che, girando per la città raccogliesse « l’oblazione de’ cittadini » per le riparazioni necessarie. Agli architetti Vincenzo Vitucci ed Andrea Cristalli e ai decurioni Francesco Galiberti e Giuseppe Ripoli venne affidato l’incarico di ispezionare il convento e di « riferire in iscritto i mezzi necessari a ridurlo ad Orfanotrofio, e notare l'importo di essi ». Approfondimento Per accogliere l’orfanotrofio si rese necessaria, rinviando a « miglior tempo » le spese per « le gelosie » alle finestre e ai balconi, solamente la costruzione di un muro per chiudere l’accesso « in parte sospetta », cioè pericolante, del fabbricato e i lavori durarono appena due giorni. Era intenzione del sindaco Matteo Fraccacreta dare al più presto possibile una degna sistemazione alle orfane della città, perché, come scrisse all’intendente, « fa pietà il lezzo e l'angustia in cui sono negli odierni tuguri più che abitazioni », tuttavia, prima di accogliere le orfane a S. Francesco doveva necessariamente sistemare in altri locali gli uffici comunali e, a questo proposito, come abbiamo già visto, aveva chiesto un'ala dell’altro convento soppresso di San Severo, quello dei Celestini. Il 12 febbraio 1810, giorno in cui si festeggiava il rientro di Murat nella capitale dalla Calabria, dopo il Te Deum, la processione e l'estrazione di venti maritaggi, le orfane di San Severo entrarono solennemente in San Francesco e in quell'occasione il sindaco chiese all’intendente che la chiesa del convento restasse aperta al culto e fosse annessa all’orfanotrofio e che le orfane potessero usare per le loro necessità quattro o cinque sottani che davano nel chiostro. Approfondimento Inizialmente trenta furono le orfane che trovarono nell’ex monastero spazio a sufficienza « tanto per vivere, quanto per dar luogo a’ telai e ad altri ordigni di fatica » e il loro numero, in una cittadina di oltre sedicimila abitanti, era destinato subito ad aumentare; infatti, dopo pochissimo tempo, « infìnite » furono le richieste di orfane che desideravano entrare a San Francesco. L’altra grossa difficoltà che l’Amministrazione Comunale dovette superare fu quella « di assicurare i mezzi per la comoda sussistenza » alle orfane e, a questo proposito, il decurionato deliberò che le rendite dei monti, istituiti da Giuseppe Quatrini e Saverio Paladini, che avevano come fine principale di « pensare alla situazione » delle orfane e delle povere, venissero interamente devolute al mantenimento delle orfane ospitate nell’ex monastero e ai maritaggi di quelle che, dopo aver appreso « le arti » nell’orfanotrofio, volessero contrarre matrimonio « giusto e legittimo ».
LA SOPPRESSIONE DEL CONVENTO DI SAN FRANCESCO CREDITI: “La soppressione degli ordini monastici in Capitanata” di Anna e Giuseppe Clemente
I CONVENTI